Cosa succede negli uffici del secondo piano del Miur?


Cosa succede negli uffici del ministero dell’Istruzione? Chi sostiene e tira la volata a proposte sulla scuola non verificate all’interno della compagine governativa? E’ successo in queste settimane che l’unico atto normativo che riguarda la scuola italiana, dall’inizio di questo Governo (l’art. 50 del Decreto Semplificazione e Sviluppo, il DL n. 5/2012) ha subito diverse modifiche e correzioni fino a poco prima del voto di fiducia alla Camera dell’8 marzo.




Da una parte restano perplessità sull’operato di alcune stanze del Miur, mentre dall’altra l’impostazione finale del testo che ora va al Senato senza possibilità di ulteriori modifiche assume il volto di una serie di “annunci consolatori”, rinunciando alla seria scelta di sviluppo, appunto, della scuola italiana.
1. Vediamo le perplessità. Il testo presentato dagli uffici del ministero a febbraio in Consiglio dei Ministri conteneva forti misure di intervento sull’organico del personale (organico funzionale, aumento dell’organico attuale), oltre al tentativo di un energica ripresa di iniziativa in tema di autonomia delle istituzioni scolastiche (autonomia responsabile). Entrambi i tentativi venivano bloccati e ridimensionati da interventi del MEF, andando così ad un testo di puri enunciati di principio.
Evidentemente, sia in qualche ufficio del secondo piano del Miur, sia nelle segreterie sindacali, oltre che nel Pd, il testo che andava in discussione alla Camera dal 5 marzo non bastava. Ecco allora comparire nella Commissione Attività produttive della Camera il 6 marzo due emendamenti (sponsorizzati da questi ambienti?) presentati dal Pd: uno (il 50.10 dell’on. Ghizzoni) che aggiunge 10mila posti all’organico attuale (esattamente nella direzione del testo di febbraio del Miur), l’altro (il 50.01 dell’on. Pelino) per sistemare, con la solita via degli ope legis, alcune fette della dirigenza scolastica che non hanno superato o fatto concorsi.
Per il primo non si trattava di semplice stabilizzazione di una fetta dell’attuale precariato, ma di una vera e propria aggiunta di organico (“ulteriori”) per il calcolo della quale il Mef ha ritenuto assolutamente insufficienti i 350 milioni indicati nel testo. Per il secondo si trattava di immettere nei ruoli della dirigenza docenti che non hanno avuto la nomina in ruolo da precedenti concorsi e gli incaricati di presidenza dal 2008 ad oggi. Un modo per ribadire che i concorsi non contano nulla: vizi noti alle aule parlamentari !
I due emendamenti vengono fermati il 7 marzo in Commissione Bilancio e modificati da un nuovo passaggio nella Commissione Attività produttive dove spariscono i 10mila posti in più e l’immissione nei ruoli della dirigenza. Il Miur non esce bene dalla vicenda.
Cosa resta effettivamente alla scuola? Alcuni principi-guida: l'organico del personale, a partire dal prossimo anno scolastico, verrà fissato ogni tre anni “sulla base della previsione dell'andamento demografico della popolazione in età scolare” e tenendo in considerazione una maggiore destinazione di personale “anche i fini di una estensione del tempo scuola”. Viene inoltre creato “un'organico di rete” tra le istituzioni scolastiche, ma, chissà perché, solo finalizzato a contrastare il fenomeno del bullismo.

2. Col passaggio della conversione in legge al Senato le norme sulla scuola dell’attuale Esecutivo mantengono un carattere di principi, sicuramente ispiratori di future novità, ma, appunto, solo principi per il futuro. E purtroppo sappiamo bene che in materia legislativa i principi sono soggetti all’oblio (ricordiamo tutti la costituzionalizzazione dell’autonomia scolastica introdotta con la Legge costituzionale 3/2001, rimasta inattuata).
Alla fine la lettura degli artt. 50 (anche nella nuova versione), 51, 52 ci offre “annunci consolatori”: ci sarà l’organico funzionale triennale di istituto; ci sarà una revisione delle attuale forme di stanziamento finanziario alle scuole; ci saranno reti di scuole per meglio gestire risorse; ci sarà un'offerta coordinata di istituti tecnici, professionali e di istruzione e formazione professionale regionali; ci sarà impegno per i “poli tecnico-professionali” (ma questo era già promesso nella Legge 40/2007!); ci sarà un sostegno all’apprendistato. Ci sarà… Ma quando, come, con quali risorse, secondo quali strumenti operativi, è tutto lasciato a Linee guida da emanare entro 60 giorni dalla conversione in legge: quindi probabilmente verso giugno 2012. Cioè, se tutta va bene, con effetti spostati sul 2013/2014. E tutti sappiamo che l’attuale Governo non sembra destinato a superare gli inizi del 2013.
L’istituzione di un organico funzionale di istituto con una stabilità triennale era molto attesa, ma purtroppo non c’è più l’obbligo di mantenere l’organico del personale del 2011/12. Quindi non è esclusa una ulteriore riduzione. C’è poi il rischio che la differenza tra l’organico di aprile (di diritto, soggetto e fortissime rigidezze) e quello di settembre (di fatto) rimanga tale e quale. Quindi a settembre le scuole che hanno al loro interno un forte precariato resteranno sempre nei guai.
L’obiettivo poi di unificare tutti i trasferimenti finanziari alle scuole senza rigidezza di destinazione resta nei desideri del ministro Profumo: l’Economia non l’ha voluto, neppure in via sperimentale. Ci consola solo il fatto (sigh!) che questi trasferimenti sono ormai così irrisori che resta ben poco da unificare.
Il nuovo riordino dell’Invalsi è di fatto solo tecnico. A questo si aggiungono una buona notizia ed una cattiva. E’ un bene stabilire con chiarezza l’obbligo delle scuole alla partecipazione alla rilevazione annuale degli apprendimenti curata dall’Invalsi. Invece non viene mutata in nulla l’attività dell’Istituto, che non si vede assegnata (come stabiliva già l’art. 1, c. 613 della L. 296/2006) il compito della valutazione dei docenti. A questa valutazione ha persino rinunciato l’attuale ministero che, con il progetto Vales, ha avviato la sperimentazione della valutazione solo per le scuole e i dirigenti. Quindi ancora per anni si valuteranno alunni, scuole, dirigenti scolastici, ma docenti e amministrativi, zero. Ma si sa: il sindacato aveva storto il naso!
3. Almeno sulla questione dei tecnici e professionali, sulla base delle parole del ministro ribadite in questi giorni, sembravano nascere buone speranze. C’è in gioco tutto il dramma della disoccupazione giovanile. Ma l’art. 52 non le conferma. Anzi, la situazione sembra peggiorare. Infatti l’impegno a coordinare l’offerta formativa di tecnici, professionali e di istruzione-formazione professionale regionale non risolve l’errore fatto di tenere separati i primi due ambiti. Si sarebbe potuto almeno introdurre norme più efficaci ed ampie delle attuali a sostegno dell’alternanza scuola-lavoro e dell’avvio dell’atteso apprendistato. Ma di questo non c’è nulla.

La riduzione, poi, degli Its ad uno solo per area tecnologica a livello regionale mortificherà molti territori provinciali specie al nord. L’impegno a far partire i “poli tecnico-professionali” c’era già nella Legge 40 del 2007. Anche là, un principio (ma le leggi non dovrebbero avere una copertura finanziaria?). Anche qui, dopo cinque anni un principio. In compenso (e questi si sono  interventi pesanti sulla scuola!) il Mef ha pilotato la chiusura di 1.300 Istituzioni scolastiche autonome per ottenere risparmi irrisori e, di fatto, provocare la creazione di mostruosità di scuole da 1.900-2.000 alunni.
4. A questi tagli pesanti di finanze (al quale non corrisponde per ora una vera razionalizzazione degli sprechi), curiosamente, fa invece da contraltare il Piano dell’edilizia scolastica (art. 53). E’ strano: se si deve procedere nuovamente alla ricognizione del patrimonio immobiliare scolastico (che comporterà un notevole costo di tecnici, commissioni e sopralluoghi), che fine ha fatto l’anagrafe dell’edilizia scolastica che in questi anni doveva fare proprio questa ricognizione? E quanto costerà procedere ad una simile ricognizione? Se per i nuovi edifici potranno far fronte le risorse annunciate da Profumo a Napoli, perché avviare questa nuova elefantiaca procedura? Perché invece di avviare una nuova ricognizione non si avvia subito la manutenzione degli edifici? Le famose ed “indispensabili” Province non conoscono già bene quali sono gli interventi urgenti da fare?
Cosa resta allora per la scuola da un Decreto che in vari settori doveva avviare lo sviluppo, “la promozione della crescita e l’innovazione” attraverso “la valorizzazione del merito delle giovani generazioni”, cioè attraverso l’investimento sull’istruzione (Profumo: “il Paese ha capito che il vero investimento per il suo futuro è proprio nella scuola”)?

Roberto Pellegatta

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