La scuola educa anche attraverso la selezione

Col termine dell’anno scolastico e l’avvio degli scrutini e degli esami finali, gli studenti e le famiglie sono in molti casi in trepidante attesa di conoscerne gli esiti. Si ripresenta, quindi, il problema della valutazione e della selezione ovvero della meritocrazia. Discutere di voti, però, non equivale a discutere di bocciature anche se la discussione sui voti diventa distorta proprio per le implicazioni sulle ipotetiche bocciature.


La Riforma Gelmini aveva recentemente trasmesso, nell’immaginario collettivo nazionale, il ritorno ad una severità negli studi e nei riconoscimenti sociali nonché negli sbocchi lavorativi degli stessi. L’efficacia o l’inefficacia di questi dipendono proprio dall’aliquota inflattiva che contengono, così come la cartamoneta che, quando ne circola tanta o troppa, perde valore ovvero potere d’acquisto. Ma è possibile che lo studio sia tanto o troppo o, in realtà, non è mai abbastanza?
La scuola italiana ha visto il progressivo innalzamento dell’obbligo scolastico e, quindi, del livello di scolarizzazione generalizzata. Ma se aumenta l’obbligo di percorso, inevitabilmente aumenta anche l’obbligo di raggiungere la più lontana meta, e tra l’obbligo ed il diritto di comunque conseguirla il confine è labile e molti ritengono che sia la scuola di massa che lo renda persin permeabile.
C’era un tempo una scuola piramidale, culturalista e selettiva, ove si aveva appunto la presunzione di selezionare e formare la classe dirigente, una scuola che non considerava di pari valore, ma solo subordinata, la formazione e la ricerca scientifica, tecnica e professionale, seppur in questo sbagliava, visto che l’attività teorica e quella pratica hanno pari dignità in quanto sono entrambe espressione del medesimo essere umano. La scuola venuta giustamente dopo, quella democratico-inclusiva, ha prodotto tanto altro, anche se assistiamo ora ad una mobilità sociale stagnante e ad una inflazione di titoli di studio.
La scuola deve quindi tornare a bocciare dalla primaria in su fino all’Università? Certamente se per bocciatura si intende la possibilità di ripetere, acquisire meglio, rafforzare delle conoscenze e delle competenze, è evidente che la bocciatura ha senso all’inizio di un ciclo di studi, come fosse una ripartenza, mentre a metà od al termine di un ciclo di studi può servir anche a poco.
Se però si guarda alla scuola come utenti, allora diventa immediatamente chiaro ciò che si vuole dalla scuola: che chi di lì esca con un titolo che gli permetta di lavorare o di ancora studiare, lo sappia fare nel migliore dei modi. Nessuno vorrebbe infatti mai essere curato dal medico incapace o l’avere i figli dall’insegnante che non conosca bene la disciplina e la metodologia didattica e magari difetti pure di deontologia professionale.
In quest’ottica, le quote e le percentuali dei bocciati o dei promossi di ogni anno assumono un valore relativo in quanto diventano solo l’apice visibile di una consapevolezza culturale e sociale che dovrebbe prima stare a monte ed a valle delle promozioni e delle bocciature stesse.
L’insigne latinista Concetto Marchesi, intellettuale organico all’oramai scomparso Partito comunista italiano, quindi al di sopra di ogni sospetto d’elitarismo conservatore, borghese o destrorso, sosteneva che «la scuola dovrà essere nello stesso tempo educatrice e severa selezionatrice dei valori individuali; essa è affidata più che ai programmi agli insegnanti, i quali devono a loro volta essere educati e selezionati…; noi dobbiamo intanto porre… una prima opera di depurazione e di scelta tra i nuovi iscritti alle facoltà universitarie».
Ci sarà da metterla in pratica questa severa selezione per allievi, docenti e matricole, magari a partire già dagli scrutini, dagli esami di Stato, dagli appelli universitari, dai concorsi e dai test di ammissione di quest’anno? O no?

Nicola Rossetto