Test Tfa, quiz per insegnanti pieni di svarioni

Clamorosi errori nelle domande della prova d'ammissione
Errati un titolo di Buzzati e la definizione di variante


Reclutare i prossimi insegnanti è operazione estremamente delicata e di altissimo rilievo. I modi del reclutamento un tempo erano ovvi e abbastanza collaudati: si trattava di un concorso, le cui prove avevano una riconosciuta dignità culturale. Il meccanismo è stato variamente aggredito nel tempo, alla luce di concezioni politico-pedagogiche dagli effetti devastanti. L'ultima trovata si chiama Tfa (Tirocinio formativo attivo, vedi «Corriere della Sera» del 22 luglio): quesiti a risposta multipla, concettualmente imparentati con i cruciverba della «Settimana enigmistica» e pallida reincarnazione dei quiz di Mike Bongiorno. È quasi imbarazzante parlarne, e penoso misurarsi con questo degrado; e nondimeno è indispensabile dare l'allarme prima che sia troppo tardi. Come era prevedibile, infatti, un meccanismo del genere, oltre a rispecchiare un'idea bassa della cultura, è destinato inevitabilmente a macchiarsi di errori dovuti all'ignoranza di coloro che formulano i quesiti a risposta multipla.



Nel recentissimo caso della prova di ammissione per la classe di materie letterarie e latino nei licei, brillano svarioni che è giusto denunciare, prima che gli automi destinati a scorrere gli elaborati dei candidati trincino giudizi deliranti. Il quesito n. 5 consisteva nella domanda «Che cosa si intende, in un testo letterario, per variante?». Orbene, tutte e quattro le risposte proposte erano errate. Il ministero segnalava agli incaricati della correzione dei compiti che la risposta esatta era la prima, e cioè: «Ogni soluzione espressiva, attestata dai codici, discordante dal testo definitivo licenziato dall'autore».
Ma, purtroppo, chi ha elaborato questa risposta, cosiddetta esatta, è un selvaggio. Trattandosi di «testi letterari» delle più diverse epoche - nei quesiti precedenti e successivi si parla di Manzoni, Vittorini, Foscolo, Meneghello, Berto, etc. - è evidente che già l'espressione «attestata dai codici» fa sorridere. E questo è il meno. Se il riferimento era all'antichità, non si vede perché escludere i papiri, nonché i casi di tradizione epigrafica. E soprattutto non si capisce perché «varianti» non siano anche le varianti d'autore, su cui esiste una letteratura immensa e assai pregevole. Come ognun vede, dunque, dire che le varianti sono soltanto le divergenze rispetto al testo «licenziato dall'autore» è una gratuita bestialità. Chi ha elaborato il quesito n. 5 non sa di cosa parla.
Veniamo al quesito n. 15. Si trattava di identificare l'autore di un'opera intitolata Qualcosa era accaduto e venivano prospettati come autori Buzzati, Pirandello, Brancati, Malerba. La risposta esatta - suggerisce il documento ministeriale destinato agli automi-correttori - doveva essere Dino Buzzati. Si dà però il caso che il titolo non è Qualcosa era accaduto , ma Qualcosa era successo . C'è da chiedersi se l'operatore ministeriale che ha partorito questa sciocchezza non abbia voluto introdurre una variante d'autore, cercando di sanare in parte la deficienza del quesito n.5. Insomma, è immorale che il destino di persone che hanno studiato per affrontare una prova da cui dipenderà la loro esistenza sia nelle mani di onnipotenti analfabeti.

24 luglio 2012 | 10:07

di Luciano Canfora