Profumo: Non basta innovare serve anche un cervello veloce

di Stefano Parola – 17 marzo 2013
"Il futuro di Torino è nell’innovazione? È ciò che sta accadendo già oggi ed è anche ciò che dico da tempo. Anzi, quando ero rettore del Politecnico ho provato a giocare in anticipo". Francesco Profumo si gode i suoi ultimi giorni da ministro dell’Università e della Ricerca. Si dice "molto contento" di fare ritorno, tra qualche giorno, nel suo ateneo. E tra un impegno e l’altro trova un po’ di tempo per parlare della sua città, dell’oggi ma soprattutto del domani.




Ministro Profumo, su «Repubblica» lo storico dell’industria Giuseppe Berta sostiene che l’innovazione sia la principale chiave di volta per il futuro del capoluogo piemontese. È un concetto a lei molto caro sin dai tempi in cui era il “magnifico” dell’ateneo di corso Duca degli Abruzzi. Cosa ne pensa?
"Ho letto il contributo di Berta e vi ho ritrovato molto di ciò che penso anche io da diverso tempo. Da rettore del Politecnico ho cercato di dare concretezza a questo pensiero con due operazioni. Per prima cosa, ho creato dentro l’università una comunità nuova, composta da ricercatori pubblici e privati e da studenti, dando a questi ultimi la possibilità di avere una relazione quotidiana con il mondo della ricerca. Mi riferisco alla Cittadella politecnica, che ci ha consentito di anticipare il processo di integrazione tra scuola e lavoro. Perché ormai i modelli di un tempo, che vedono industria, ricerca e scuola suddivisi in altrettanti compartimenti stagni, non corrispondono più alla realtà di oggi, che è invece molto liquida e che non tollera “pareti” fisse".

La seconda operazione?
"Gli spazi delle grandi fabbriche che erano necessari in un modello industriale tradizionale erano troppi. Quindi potevano essere utilizzati non solo per la produzione, ma anche per la formazione delle persone che in questo modo sarebbero poi state in grado di progettare questa produzione. È quanto abbiamo fatto a Mirafiori, trasferendo alcuni corsi del Politecnico nell’area di Tne: in quel caso abbiamo portato l’università dentro la fabbrica".

Dopo essere stato rettore, è diventato presidente del Cnr e, nell’ultimo anno, ha fatto il ministro. Come hanno influito queste esperienze sui suoi convincimenti? Crede sempre nell’importanza dell’innovare?
"In questi mesi ho avuto modo di osservare tante realtà differenti e la mia convinzione ne è uscita rafforzata. Oggi non si può pensare che Torino si sviluppi senza fare leva su un processo di innovazione rapido e solido e senza investire sulla scuola. Pochi giorni fa ho presentato alcuni bandi “precommerciali” con i ministri allo Sviluppo Passera e alla Coesione sociale Barca, proprio perché i tre aspetti di cui ci occupiamo devono lavorare insieme e nella stessa direzione. Nel caso specifico dei bandi presentati pochi giorni fa la pubblica amministrazione diventa un driver di crescita: produce servizi e al tempo stesso si rende più vicina ai cittadini".

Il presidente di Confindustria Piemonte, Gianfranco Carbonato, ha fatto però notare che nel progettare la Torino di domani gli enti pubblici possono avere un ruolo di coordinamento, ma che è inutile chiedere soldi perché le risorse sono finite. È così?
"In questo mio anno da ministro abbiamo destinato due miliardi alla ricerca. Bisognerebbe però capire se li abbiamo investiti bene e se siano stati gestiti in modo corretto nella creazione del risultato: è una cosa che in Italia abbiamo sempre detto di voler fare, ma non ci siamo mai riusciti. In questa fase è necessario che tutti gli attori siano più responsabili: le risorse sono poche e il Paese ha bisogno di utilizzarle al meglio".

Berta sostiene anche che a Torino sia finita l’era del “fordismo” e dunque delle fabbriche che hanno bisogno di elevate quantità di personale. Concorda?
"Io credo che il modello debba essere ridisegnato. Perché la “catena” non è composta soltanto dalla sua fine, cioè dalla produzione. Esiste anche tutta una parte, che forse diventerà preponderante, che sta a monte del saper produrre bene e del competere sui mercati internazionali. In un paese come il nostro, che ha costi energetici elevati e una predilezione alla qualità sociale del lavoro che però lo rende anche caro, dobbiamo metterci più “cervello veloce”. Intendo che occorre creare non solo più innovazione, ma anche un’innovazione che si rinnovi nel modo più rapido possibile. Perché questo sia possibile nei nostri prodotti e sistemi ci vuole più “software” e meno “hardware”, perché quest’ultimo ha tempi più lunghi per essere rinnovato".

Che ruolo hanno le università in questo processo?
"I due atenei devono essere parte integrante dello sviluppo di Torino. La loro capacità di attrazione di nuovi studenti non sta solo nella qualità delle loro aule. Piuttosto Università e Politecnico devono essere in grado di tessere relazioni sempre più fitte con la loro area geografica. E soprattutto, devono poter anticipare per i loro laureati una relazione con il mondo del lavoro".

http://torino.repubblica.it/cronaca/2013/03/16/news/profumo_non_basta_innovare_serve_anche_un_cervello_veloce-54716396/