Benvenuti alle Termopili

di Wu  Ming


E così il 26 maggio la cittadinanza bolognese andrà a votare. Referendum consultivo sui finanziamenti comunali alle scuole d’infanzia paritarie private. Alla cittadinanza viene chiesto di esprimere un parere su quale sia la forma “più idonea” di utilizzo dei finanziamenti comunali per garantire “il diritto costituzionale all’istruzione dei bambini e delle bambine”: dare oltre un milione di euro alle scuole pubbliche comunali e statali (A) o continuare a darlo alle scuole paritarie private (B). Un piccolo caso locale che ha attirato l’attenzione da tutta Italia per il forte valore simbolico (qui la prima e la seconda puntata) e che, comunque andrà a finire, ha già messo in evidenza un dato innegabile: un comitato di poche decine di volontari è riuscito a far tremare i colossi dai piedi d’argilla che saturano lo spazio politico italiano, ritrovandoseli tutti contro, dal Pd alla Cei.
Con il passare delle settimane, il clima in città è andato surriscaldandosi a causa dei toni assunti dall’amministrazione comunale e dal sindaco Merola, a ogni uscita pubblica sempre più nervoso e offensivo nei confronti dei referendari. Il refrain dura da mesi, ma ultimamente è diventato un disco rotto: ideologici, strumentalizzati, estremisti, nemici della scuola, nemici dei bambini, discriminatori, e chi più ne ha più ne metta.





Il motivo di tale aggressività è presto detto: l’appoggio al fronte referendario annovera, oltre a Sel, sindacati di base, M5s, Fiom e Flc-Cgil, tutti gli ultimi esponenti della sinistra italiana. Da Stefano Rodotà a Salvatore Settis, da Luciano Gallino ad Andrea Camilleri, da Gino Strada a Margherita Hack, da Dario Fo a Michele Serra, da Corrado Augias a Marco Revelli, da Paolo Flores D’Arcais a Francesco Guccini… Per non parlare della sfilza di attori, registi, scrittori. Perfino i Forever Ultras del Bologna Fc 1909, che domenica scorsa, in curva allo stadio, hanno srotolato uno striscione con su scritto: “MerolA: BolognA + scuola PubblicA = A”. Last but not least, la Scuola di Barbiana e gli alunni di don Milani hanno aderito alla battaglia del comitato referendario, dimostrando una volta per tutte che non di guerra di religione si tratta, come piacerebbe far credere a certi altri tifosi.
Sull’altro fronte, dalla parte dell’amministrazione comunale e dei sostenitori dei finanziamenti pubblici alle scuole private è sceso in campo niente meno che il presidente della Cei, il cardinale Bagnasco. Poi i tre “Maurizii”: Lupi, Sacconi, Gasparri. Il Pdl è in prima linea insieme alla Lega Nord. E ovviamente il Pd, il primo partito in città, con tanto di endorsement del decano Romano Prodi. Perfino il papa qualche giorno fa si è pronunciato, con un tempismo non casuale, ricordando che “la scuola cattolica costituisce una realtà preziosa per l’intera società, soprattutto per il servizio educativo che svolge, in collaborazione con le famiglie. Ed è bene che sia riconosciuto il suo ruolo in modo appropriato”.
Al pontefice va riconosciuto il dono dell’onestà, perché ha parlato di scuole cattoliche senza giri di parole. Invece non c’è una dichiarazione o una riga sottoscritta dai sostenitori laici o clericali dell’opzione B che ricordi questa semplice verità: a Bologna, 26 su 27 scuole d’infanzia paritarie private sono confessionali e aderiscono alla stessa struttura, cioè la Federazione italiana scuole materne (cattoliche), fondata su impulso della Cei nel 1973.
L’omissione è cruciale, altrimenti la retorica sulla “libertà di scelta educativa delle famiglie” cadrebbe davanti a quello che è un semplice accordo bipolare stipulato nel 1995 e procrastinato per diciotto anni. In una società sempre più multietnica, multireligiosa e multiconfessionale, tenere in piedi un sistema integrato Peppone-Don Camillo è grottesco, almeno quanto lo sarebbe immaginare un sistema educativo a compartimenti stagni, in cui ogni confessione e ogni gruppo sociale si fa la propria scuola con i contributi pubblici. Il sindaco di Bologna è arrivato a dire anche questo, affermando che sarebbe ben contento di poter finanziare una scuola islamica. Chissà cosa ne pensano i suoi alleati leghisti in questa battaglia. Sta di fatto che non è più tornato sull’argomento.
A sentire i difensori del sistema scolastico integrato pubblico-privato, l’idea di un primato della scuola pubblica – quella inclusiva, gratuita, pluralista, laica, dove vige la libertà d’insegnamento, tenuta per legge a occuparsi di tutti, a prescindere dal grado di abilità, eccetera – è già stata abbandonata. Le scuole paritarie private ex lege fanno parte del sistema scolastico nazionale e quindi sono equiparabili alle scuole comunali e statali. Poco importa che vi si paghi una retta e si debba accettare un piano educativo confessionale.
È il modo scelto dal comune di Bologna per aggirare il problema dell’esclusione dalla scuola d’infanzia comunale e statale di 423 bambini, l’anno scorso, poi ridotti alla bell’e meglio a 103, le cui famiglie hanno scelto di “organizzarsi diversamente”, secondo il sindaco. Un dato, quello degli esclusi, di cui non si trova traccia sul sito del comune che canta le lodi del sistema scolastico bolognese, dove invece si annuncia che quest’anno “si va verso l’esaurimento della lista d’attesa”. Se fosse vero sarebbe molto bello. L’azzeramento verrebbe però ottenuto in questo modo: ci sono 221 bambini in lista d’attesa per la scuola pubblica e 90 posti liberi, quindi c’è un esubero di 131 bambini, per i quali però sono disponibili ben 300 posti alle scuole paritarie private.
Insomma, se sei fortunato vai alla scuola gratuita e laica, se invece resti fuori, puoi scegliere tra mandare i tuoi figli alla scuola confessionale a pagamento oppure tenerli a casa (tanto non è scuola dell’obbligo, ci ricorda il sindaco Merola). Ecco qual è la reale “libertà di scelta educativa delle famiglie” a Bologna nel 2013. E se tra gli esclusi ci sono figli di famiglie non cattoliche o troppo povere per pagare anche una retta bassa, fatti loro. Tra l’altro è evidente che spesso le due condizioni coincidono.

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