Piccola operazione di memoria…


di Giovanni Cocchi


30 settembre 2013

Vorrei fare una piccola operazione di memoria, ricordare da dove eravamo partiti, dove eravamo arrivati e a cosa siamo ritornati.
Io, e ho già un bel po’ d’anni, sono sempre stato a scuola.
Ho iniziato con la maestra unica, molti miei compagni bocciati e poi dispersi, col figlio dell’operaio che rimaneva operaio e quello del dottore che faceva il dottore, con l’ultima aula in fondo a destra terribile e misteriosa dove la maestra minacciava di mandarci se facevamo i cattivi: l’aula dei “mongoli”, la chiamava, la classe “differenziale”.
Ecco, per fortuna, mentre stavo crescendo, c’erano, e diventavano sempre più, quelli che si mobilitavano perché quella scuola cattiva e classista cambiasse, si avvicinasse al dettato costituzionale: “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Ci sono voluti almeno due decenni di pensiero e lotta per avvicinarsi a quella bellissima roba lì. 
Rapidamente:




1962istituzione della scuola media unica obbligatoriache supera la tradizionale distinzione tra la vecchia scuola media d’élite e la scuola di avviamento professionale, destinata a coloro che non dovevano proseguire negli studi
1967, Don Milani, “Lettera a una professoressa”
1968istituzione scuola materna statale
1971 la scuola a tempo pieno
1974, i Decreti Delegati con gli Organi Collegiali, ottenuti dopo uno sciopero con i metalmeccanici, a dimostrazione che la scuola a quel tempo non era di chi ci lavorava, ma della società, a dimostrazione di quanto fosse considerata, diremmo oggi, “bene comune”
1977La legge 517 con tre principi rivoluzionari
1.la programmazione collegiale degli insegnanti 
2.la valutazione formativa: intendere la valutazione come operazione finalizzata alla correzione dell’intervento didattico più che all’espressione di giudizi nei confronti degli alunni; non certo un semplice e incatenatorio voto come oggi
3.inserimento nelle classi normali degli alunni in situazione di handicap 
1990Moduli (riprendono i principi del t.p.: compresenze, programmazione, specializzazione disciplinare)
Io ho avuto la fortuna di cominciare ad insegnare in quegli anni, in quel clima, in quella scuola, che ha saputo raggiungere nella sua punta più avanzata, le elementari, i primi posti nel mondo.
Ma poi, cos’è successo dopo? 
A partire dal 2000… cominciano gli anni in cui al ministro della pubblica istruzione succede il ministro delle Finanze: cominciano gli anni dei TAGLI,degli IMMISERIMENTI, della tendenza oggi fortissima alla PRIVATIZZAZIONE, alla creazione di SCUOLE di serie A e B;
Anche qui rapidissimamente:
2000, COL PRIMO GOVERNO DI SINISTRA!, “Norme per la parità scolastica” con cui si aggira il dettato costituzionale del “senza oneri per lo stato”
2003 riforma Moratti, abolizione tempo pieno, nuove indicazioni nazionali (viene messo in discussione persino il darwinismo): il Ministero dell’istruzione perde l’aggettivo “pubblica” 
E’ ancora tempo di grandi mobilitazioni, chi lavora nella scuola e chi manda i figli a scuola (ancora INSIEME, ancora una volta scuola “bene comune”)non ci sta.
Insegnanti e genitori non si fanno solo contestatori, ma in migliaia, dal basso, costruiscono la loro legge di riforma. Andatela a leggere (www.leggepopolare.it): è’ splendida, ancora attuale perché profetica, purtroppo all’incontrario. In brevissimo: risorse, il 6% del Pil, perché una buona scuola è la base della democrazia e del futuro di una società (oggi siamo al penultimo posto, battiamo solo la Slovacchia). Risorse che permetterebbero: l’estensione dell’ obbligo a 18 anni, classi di 22 alunni, organici stabili e adeguati al sostegno. all’integrazione e alla lotta alla dispersione e al disagio, l’obbligatorietà dell’ultimo anno della scuola d’infanzia, ripristino ed estensione del tempo pieno nella scuola elementare e prolungato nella media, il biennio unitario al posto dell’attuale scelta precoce, un piano straordinario di edilizia scolastica…
Senza l’appoggio di nessun partito, raccolgono in poche settimane 100.000 firme e consegnano la“Legge di iniziativa popolare per una buona scuola della Repubblica” nelle mani di Bertinotti, neo Presidente della Camera del nuovo Parlamento.
Sì, perché intanto al governo è andato Prodi e quell’alleanza che al mondo della scuola ha fatto tante promesse in campagna elettorale…
Ma Fioroni non usa solo il famoso “cacciavite”, continua anche con il coltello… 
Siamo a ieri, al machete della Gelmini, cioè di Tremonti:maestro unico, 8 miliardi di tagli, 150.000 insegnanti/bidelli in meno, classi sovraffollate, tagli handicap, mancanza di sorveglianza e pulizia, Invalsi, ecc.. 
Anche qui movimenti e proteste, ma ora l’attacco è più raffinato, avviene dentro e fuori la scuola, l’esperienza ha insegnato che occorre separare la scuola dalla società, se no non si riesce a procedere. Così parte una poderosa campagna di delegittimazione della scuola agli occhi della società (insegnanti fannulloni, privilegiati, ecc); del resto è al governo chi ha il controllo totale sui mass media. 
Delegittimata all’esterno (chi mai arriverà ora in soccorso di fannulloni ed incapaci…), si procede all’interno, facendo la scuola a fettine e cucinandone un pezzo dopo l’altro per minimizzare le reazioni: prima le elementari (con l’ideologia del bel passato che fu: grembiulini e maestrina), poi le medie (tolte tre ore e il tempo prolungato), poi le superiori (dove gli indirizzi vengono ridisegnati in senso classista e con la reintroduzione dell’apprendistato, l’obbligo scolastico è stato abbassato a 15 anni). E dire che sommando le ore tolte ad ogni ordine di scuola si era già ridotto di due anni secchi il percorso d’ istruzione (senza parlare di tutte le altre ore perse perché invece che chiamare i supplenti si parcheggiano i bimbi nelle altre classi). Infine si è tentata la chiusura del cerchio con il colpaccio delle 24 ore e con l’ex Aprea; schivati, ma solo momentaneamente, c’è da scommetterci.
In sostanza, dunque, i governi degli ultimi 15 anni, di qualsiasi colore politico, hanno operato uniti per togliere alla scuola pubblica e dare alla scuola privata, per aziendalizzare, invalsizzare, dividere, “mercanteggiare”.Siamo tornati ben lontani dalla scuola delineata dalla Costituzione alla quale ci eravamo faticosamente avvicinati; la scuola di oggi è anticostituzionale perché non si rimuovono ma si accrescono gli ostacoli che si frappongono al pieno sviluppo della persona umana (art.3) e non si permette ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (art.34).
Oggi nella scuola si va perdendo la collaborazione tra gli insegnanti presto costretti a rivaleggiare tra loro per miseri aumenti stipendiali (se non addirittura per conservare il loro misero salario), tra gli insegnanti e i genitori (ai quali il figlio viene “raccontato, magari solo on line, con un “voto”).Se gli studenti vanno male ai quiz in Calabria non è colpa della miseria e della povertà culturale di quei luoghi, no, ma dei loro incapaci insegnanti che saranno obbligati a fare corsi di aggiornamento (colpiscine uno per educarne cento). Oggi non c’è più la stessa attenzione al bambino (la mattina, invece che fare “accoglienza”, chiedere come va, tutti impegnati a compilare il registro elettronico), alla didattica (sempre più quizzizata); le difficoltà vengono ridotte a progetti burocratici e sigle (dislessia, Bes) e al posto di insegnanti che aiutino a crescere si danno progetti di carta, computer e promozioni assicurate; i figli degli immigrati ingolfano gli istituti professionali; insomma stiamo tornando a quella scuola brutta e cattiva degli anni ’50.
I genitori che entrano adesso o sono entrati a scuola da tre/quattro anni non sanno cosa hanno perso (tempo, umanità, ascolto, accoglienza…); per loro la scuola è quella che c’è adesso: invalsi e la foglia di fico dell’informatica. I genitori che sono dentro da anni (e che ora hanno i figli alle medie e alle superiori) sanno cosa hanno perso, hanno lottato (chi più, chi meno) per non perderlo, ma ora hanno accettato la sconfitta, pensano sia tutto inutile, cercano vie d’uscita individuali (se ne hanno i mezzi). Il grosso problema che abbiamo ora è proprio questo: trasmettere almeno la memoria di quello che è stato, riuscire a far capire che un’altra scuola è possibile perché lo è stata, che niente è inevitabile.
O la società nel suo insieme diventa di nuovo padrona della scuola, o la sente davvero come sua, o si perderà.