Premessa
Quando si
ambisce a proporre sei idee per rilanciare la scuola, anche se nella
presentazione si dichiara espressamente che non si ha nessuna intenzione di
elaborare un progetto di riforma del sistema scolastico e di formazione,
nondimeno non ci si può sottrarre all'obbligo di precisare la scadenza delle proposte.
Questa è una esigenza determinante. Infatti il problema scottante di fronte al
quale si trovano tutti i sistemi scolastici, nonché tutte le organizzazioni
internazionali che si occupano di riforma della scuola, è quello dello scenario
entro il quale va collocata qualsiasi proposta di riforma del sistema
scolastico e di formazione.
Questo quadro manca completamente nella premessa e
nel seguito del documento. Anzi, si direbbe che Tuttoscuola non faccia altro
che tratteggiare una procedura per restaurare crepe negli intonaci
dell'istituzione scolastica vigente. Nonostante le novità, l'insieme delle
proposte può essere ritenuto conservatore, nel senso che mira a conservare il
sistema d'istruzione e formazione esistente correggendone alcuni difetti.
Orbene, l'evoluzione tecnologica, culturale e sociale di questi ultimi
vent'anni è tale da sovvertire le basi dell'istituzione scolastica. Questa è
talmente potente da essere in grado di difendersi e riprodursi nonostante
tutto, ma vale la pena, anzi è necessario, delineare lo scenario di sviluppo
dell'istituzione scolastica e dell'organizzazione del sistema scolastico nei
prossimi trent'anni. Questo periodo è estremamente corto quando si considera il
tempo necessario per trasformare il mondo scolastico. Ci vuole almeno un
centinaio di anni per modificare i programmi di insegnamento in talune
discipline. Quindi un trentennio per capovolgere un sistema del tutto obsoleto
sono un periodo ridicolissimamente breve. Probabilmente ci vorranno molto più
di trent'anni, ma l'opzione della conservazione sembra davvero perdente.
Quindi, uno dei rimproveri fondamentali da rivolgere
al documento di Tuttoscuola è quello di non avere precisato le scadenze dei
termini di validità delle idee da proporre: il prossimo anno? i prossimi 5
anni? i prossimi 10 anni? Nulla è detto a questo riguardo anche se tutti sanno
che sarà ben difficile preservare l'apparato scolastico odierno per diversi
decenni ancora. Inevitabilmente, presto o tardi, mutazioni radicali nella
scuola saranno necessarie e quindi le proposte da formulare dovrebbero essere
coerenti con il tipo di apparato scolastico che si vorrà sviluppare nel corso
di questo secolo. I fondatori del servizio scolastico statale nel corso
dell'Ottocento avevano molto bene in testa quali fossero le finalità da
conseguire. Non avevano soltanto previsto le conseguenze, ma sarebbe ingiusto
renderli responsabili di questa lacuna. Infatti, è assai difficile prevedere
come evolvono le istituzioni sociali. Del resto, è altrettanto arduo ipotizzare
le trasformazioni tecnologiche e socioculturali. Un decennio fa nessuno avrebbe
previsto, tranne i visionari, il successo dei telefoni cellulari. Non parliamo
nemmeno degli "smartphone" e di un nuovo modo di grafia. Si può e si
deve pertanto predisporre uno scenario iniziale, delineare un quadro teorico
entro il quale collocare l'ipotesi di sviluppo del sistema di istruzione e di
formazione.
Di quale tipo di scuola si tratta in questo documento? Di quella
voluta dai padri del servizio scolastico statale nell'Ottocento o di una scuola
post-moderna? La classe politica può cambiare radicalmente un'istituzione, un
servizio pubblico? Certo che lo può. anzi lo deve fare. Il documento di
Tuttoscuola sarebbe molto utile se desse un colpo di mano in questa direzione,
se esplicitasse, in un paese disorientato come l'Italia, un capo da prendere.
Primo punto: ottimizzare l'utilizzo delle strutture
scolastiche
In questo capitolo si parla di tutto e non soltanto
di edilizia scolastica mentre invece si dovrebbe, specialmente in Italia,
prestare un' attenzione specialissima alla situazione dell'edilizia scolastica
che è tra l'altro in parte conosciuta grazie agli investimenti e alle numerose
iniziative prese nel corso di quest'ultimo decennio. Si sa, con relativa
precisione, che molti istituti scolastici sono in pessime condizioni, che
mancano le garanzie di sicurezza. Il territorio italiano è per natura un' area
molto sismica che si estende per centinaia di chilometri da Nord a Sud. Le
condizioni climatiche nelle regioni del Nord non sono identiche a quelle del
Sud. Ci sono scuole nel Sud Italia, ed in particolare nelle isole, nelle quali
i condizionatori d'aria sono indispensabili durante i mesi primaverili ed
autunnali, ma in moltissime scuole i condizionatori non funzionano più da anni
, mentre invece nelle scuole del Nord determinanti sono gli impianti di
riscaldamento. Gli edifici scolastici devono quindi essere adattati alle
circostanze geografiche e geologiche. A questo aspetto non si è prestata molta
attenzione del passato. Gli edifici scolastici sono sorti a tappeto uguali
ovunque perché questa era una missione dello Stato: servirsi della
scolarizzazione per creare l'unità d'Italia. L'operazione è clamorosamente
fallita ma le scuole sono state costruite, ci sono ancora anche se sono state
in gran parte mal conservate. Manca in questo momento una cartografia completa
dello stato dell'edilizia scolastica per grado si scuola. A parte questo
difetto occorre anche dire che i criteri
adottati per costruire ovunque, anche nelle frazioni, edifici scolastici non sono più giustificabili.
Peraltro, i dirigenti scolastici e gli insegnanti non
sono preparati per gestire le questioni edilizie e per mantenere un edificio
scolastico in condizioni accettabili. La dimostrazione è stata fatta nei
sistemi scolastici più evoluti di quello italiano. Se altrove il corpo
insegnante non è stato in grado di gestire gli edifici scolastici, ci si può
chiedere se ciò sia possibile in Italia. La prova non esiste e non si è mai
tentato di farlo. L'aneddotica italiana è zeppa di esempi di scuole nelle quali
i bagni non funzionano, le scuole sono infestate da insetti e topi.
Il mondo scolastico deve essere anche dal punto di
vista materiale impeccabile, governato da regole ferree. Non solo si devono
predisporre spazi di lavoro per gli insegnanti, ma anche ambienti calorosi e
molto accogliente per gli studenti che a casa vivono in condizioni disagevoli.
Non si deve scordare che per una maggioranza di studenti poveri il semplice
fatto di avere un tavolo di lavoro rappresenta un lusso, che ci sono molti
studenti che dormono in camerette con sei o sette letti. La scuola dovrebbe
essere per loro un paradiso. E' stato dimostrato che le condizioni materiali
degli edifici scolastici incidono sui risultati e le prestazioni degli studenti,
ossia sugli apprendimenti, molto di più di qualsiasi altra riforma scolastica.
Quindi, se è vero che l'immenso patrimonio scolastico
è poco o è male sfruttato, come dice Tuttoscuola, la prima cosa da realizzare
sarebbe quella di restaurare da cima a fondo questo patrimonio. La spesa è
immensa anche senza pretendere di restaurare con criteri moderni l'ambiente
scolastico. Questo è un obiettivo a corto termine, che si potrebbe definire
conservatore, il quale potrebbe essere ottenuto in un lasso di tempo
relativamente breve, per esempio in tre anni, ma a condizione di predisporre
entro sei mesi un inventario completo dello Stato delle scuole
primarie, delle scuole medie, dei licei e degli istituti tecnici superiori. Per
realizzare un inventario di questo genere, è necessario elaborare una griglia e
preparare il personale in grado di visitare ogni singola scuola. Beninteso, un’operazione
del genere può essere appaltata ad un ente privato, ma non è questo il
problema. Una seconda condizione è un piano finanziario triennale o
quinquennale imperativo per aiutare gli enti locali a restaurare il patrimonio
edilizio scolastico ed infine un'ultima condizione è un pacchetto di pene da
applicare in tutti i casi di non
rispetto documentato del piano di restauro. Per esempio gli edifici scolastici
possono essere restaurati da un'altra autorità e quelle competenti inadempienti
dovranno restituire i soldi ricevuti. Quindi in un'ottica del genere ci si
avvicina al 2020. Il governo Letta e il ministro Carrozza potrebbero prendere
già ora una decisione che avrebbe ricadute rilevanti verso la fine del primo
ventennio di questo secolo, senza buttare all'aria l'impianto scolastico.
A medio-lungo termine invece il problema è un altro,
ed è in parte tratteggiato nel documento di Tuttoscuola. A lungo termine, ossia
in un periodo che si estende tra i venti e i trent'anni, si tratta di rifare
integralmente il patrimonio edilizio locale scolastico. Il rifacimento completo
implica però un'anali demografica con proiezioni che si sanno fare, una
preparazione teorica complessa perché presuppone l'elaborazione di uno scenario scolastico: per esempio ci
vogliono ancora le aule? Nelle campagne e nelle valli le scuolette vanno tenute
aperte oppure si deve predisporre una piano di raggruppamento scolastico su
vasta scala per le scuole dell'infanzia, per le scuole primarie, per le scuole
medie? Ci sono sistemi scolastici che hanno realizzato questi raggruppamenti?
Certo ci sono. Per esempio in quasi tutte le vallate alpine elvetiche le scuole
primarie comunali sono state consorziate. Come funzionare con le nuove
tecnologie dell'informazione e della comunicazione? Quali didattiche adottare?
Come preparare i giovani insegnanti ma soprattutto come formare e sostenere gli
insegnanti anziani? Come conservare e usare questo stupendo patrimonio edilizio
che costa una valanga di soldi? Ne tratta Tuttoscuola. I docenti sono gelosi
dei loro spazi, ma gli istituti statali devono funzionare 24 ore su 24,
accogliere gli adulti, essere dei centri di cultura, delle case del sapere e
della conoscenza. Il piano a lunga scadenza implica molti temi elencati nel documento
di Tuttoscuola, ma questi temi vanno strutturati, gerarchizzati in ordine di
importanza. Quali sono prioritari, quali devono essere affrontati per primi
poiché condizionano le scelte ulteriori? Prima di giungere ai concorsi per gli
appalti, ai finanziamenti, esiste una serie di aspetti che vanno trattati in
maniera sistematica e concreta con tutte le parti in causa. Per esempio il
consorzio delle scuole primarie nelle vallate laterali della Val d'Aosta non
deve e non può essere elaborato e applicato con le stesse regole che si
utilizzeranno nella Barbagia o nel Molise. Questi sono mondi del tutto diversi.
Tuttoscuola dovrebbe insomma concretizzare le sue proposte e ordinarle.
Infine rimane il problema dei vecchi edifici: come
servirsene? Sono lussi superflui, musei, oppure
luoghi riabilitati per la vita comunitaria? Edifici costruiti nel primo 900 sono tuttora
agibili, sono stati restaurati, ma non funzionano più come scuole, oppure anche
come scuole, ma gli investimenti non sono insignificanti. Anche in questo caso
occorre stendere una lista del patrimonio scolastico da preservare, da
rimaneggiare, da trasformare. Lo si è fatto in Europa ma anche in America
Latina con la prime scuole del 600 costruite dai colonizzatori spagnoli.
Orbene, l'Italia, come tutti sanno, è paese dove abbondano monumenti di questo
tipo, spesso trascurati e ignorati. Si possono sfruttare molto meglio di quanto
non si faccia ora inserendovi aule, attrezzature per le quali non sono stati
concepiti. Ma non si può procedere a casaccio.
Come si vede anche questa sezione - ottimizzare le
strutture scolastiche - non può essere liquidata in quattro quattr'otto. Può
essere gestita a livello locale oppure nazionale. Questo non è un problema, ma
una regola s'impone: le scuole moderne devono essere accoglienti, decorose, sia
per gli insegnanti che per gli studenti. Per gli studenti poveri le scuole
devono perfino essere lussuose in confronto alle condizioni di vita casalinghe.
Secondo punto: lotta senza quartiere agli
abbandoni scolastici
Anche questa è una piaga del sistema italiano
d'istruzione e formazione. Di chi è la colpa? Da anni, anzi da decenni, si
denuncia l'indirizzo elitario, classista, della pedagogia italiana,
l'impostazione teorica dei programmi, la prevalenza delle pratiche mnemoniche,
la priorità all'oralità, al verbalismo, il disinteresse per la manualità, per
l'esperienza. Tuttoscuola non ne parla. Accenna soltanto alle bocciature, alle
ripetenze, invece non sono queste le cause della dispersione. anche in questo
caso si ragiona a corta scadenza. Il problema è altrove, risiede
nell'impostazione didattica privilegiata dalla stragrande maggioranza degli
insegnanti italiani e dagli editori di materiale didattico. Si potrebbe
aggiungere che nello stato attuale della scuola italiana il problema risiede
nella segregazione sociale di fronte all'istruzione. Purtroppo moltissimi
insegnanti adottano il passo di marcia dei colleghi che li hanno preceduti,
rispettano scrupolosamente alla lettera le ingiunzioni che vengono dalle autorità
sempre più difficilmente applicabili perché le generazioni cambiano, le
mentalità pure. Ma si continua come se nulla fosse convinti di fare il bene e
quindi si boccia alla grande oppure si disgustano gli studenti fino alla nausea
e questi appena possono se ne vanno dalla scuola, smettono di formarsi.
Ma esiste un altro problema: la tremenda spaccatura
esistente tra il mondo scolastico e quello delle imprese. Non è sempre stato
così in passato ma la situazione è peggiorata sempre più. Invece di articolare
imprese e formazione si distrugge questa connessione. Questi due mondi sono
lasciati a se stessi e quindi la transizione dalla scuola al lavoro, il
passaggio verso la vita attiva, diventano un'altra occasione di selezione, di
disinformazione, di abbandono, di disoccupazione. Le prospettive professionali
offerte ai minori sono poche, scarse, non allettanti. Le imprese sono costrette
a ricominciare da capo una formazione teorica e pratica trascurata
dall'apparato statale di formazione, salvo qualche eccezione. Quindi una parte di responsabilità della dispersione
scolastica è da attribuire alla scuola, al sistema di formazione e istruzione
che non ha sviluppato l'apprendistato o formazione duale, o formazione in
alternanza scuola-lavoro, con l'eccezione del Trentino e dell'Alto Adige, ed
infine una parte delle responsabilità va alle imprese e al mondo del lavoro che
recluta personale con un determinato profilo e che non collabora con il sistema
di formazione. Beninteso in un regime di questo tipo l'amministrazione centrale
gioca un ruolo determinante. Quindi ci sono cambiamenti a corta scadenza che si
possono imporre e modifiche a lungo termine, per esempio, su un decennio che si
possono sperimentare e applicare. Esperienze positive in altri sistemi scolastici
ce ne sono. Non è che si debbano copiare. In questo campo non si copia, ma
sarebbe bene ricordare che l'Italia ha avuto una gloriosa tradizione di
formazione in bottega e che la formazione in alternanza non viola l'obbligo
scolastico. E' solo una modalità diversa per applicare l'obbligo scolastico.
Punto terzo: Liberare e premiare le energie degli
insegnanti
Questa non è una grande novità, ma occorre chiedersi
se a lungo termine ci saranno ancora insegnanti con classi composte
prevalentemente con criteri anagrafici almeno fino alla fine dell'insegnamento
secondario di primo grado, con una missione mal definita che contraddistingue
questa professione la quale fruisce di uno statuto molto particolare, quello di
essere nel contempo impiegati dello stato e quello di essere educatori, liberi
pensatori e liberi professionisti. Non è affatto detto che in futuro ci saranno
ancora insegnanti di questo tipo, con questo profilo. In ogni modo ora non lo
sappiamo, ma la preparazione di una generazione nuova di persone che si
occupano di istruire o di occuparsi degli studenti durante una parte della
giornata richiede molto tempo. Il ricambio non sarà facile e occorrerà
programmarlo, aspetto questo che si trascura assai anche perché non si hanno le
idee chiare sulla funzione che svolgerà un servizio statale d'istruzione e di
formazione tra cent'anni circa. Sarà il medesimo di quello in vigore oppure
sarà diverso? E se lo sarà, come evolverà, chi entrerà nelle scuole a lavorare,
con quale formazione, chi le gestirà? Per ora Tuttoscuola chiude gli occhi su
queste questioni e si limita a trattare il corpo insegnante italiano con i suoi
problemi come se non ci fosse nessuna mutazione nei prossimi decenni. Da un
lato ciò è comprensibile perché l'urgenza della gestione del personale
scolastico in Italia è drammatica.
Se un cambiamento dello statuto e della professione
di insegnante ci sarà, ed è certo che
s'imporrà, occorre pensarci però già ora. Ma per il momento si continua a
gestire il corpo insegnante come se nulla dovesse succedere, come se la sola
preoccupazione sia quella di assicurare l'assunzione nel servizio statale ed e
in modo subordinato di valutare il sistema
per mascherarne le magagne e le sue carenze. La valutazione degli insegnanti
lasciata in mano agli insegnanti fornisce ovunque, in tutti i sistemi
scolastici, risultati che lasciano allibiti: tutti gli assunti sono bravi od
eccellenti come lo ha dimostrato una recente indagine svolta in Louisiana, che
non è uno Stato USA con le migliori scuole statali. Va da sé che qualcosa non
funziona quando più del 90% degli insegnanti è valutata in modo eccellente.
Ha ragione Tuttoscuola nel proporre di rendere
l'aggiornamento obbligatorio. Ciò vale per le generazioni anziane di insegnanti
come pure per i neo-assunti. L'aggiornamento dev'essere continuo, selettivo,
obbligatorio, valutato.
La valutazione degli insegnanti, delle scuole, dei
dirigenti è fondamentale. Quanto è stato fatto in Italia nel corso di
quest'ultimo decennio ha del miracoloso. Alla fine del ventesimo secolo mancava
in Italia una cultura della valutazione; adesso invece esiste e ci sono
eccellenti valutatori. Pochi ma buoni. C'è voluto un decennio circa per
formarli. Non sono in numero sufficiente. Se ne dovranno formare molti di più.
Un altro decennio e si arriva ancora una volta verso il 2020. Un'altra bella
sfida per il ministro Carrozza e il premier Letta. Bando alle discussioni
inutili sulle forme di valutazione, empiriche o meno. Se ne discute nel mondo
intero. Esiste una comunità internazionale di periti che lavora su questi
aspetti. Non incombe ai politici mescolarsi in queste discussioni. I futuri
valutatori italiani dovranno inserirsi invece in questa comunità, confrontarsi
con i colleghi di altri sistemi scolastici, partecipare attivamente agli incontri
internazionali sulla valutazione, essere presenti nei dibattiti, comparare i
risultati, i difetti, gli errori per migliorare tutti gli strumenti della valutazione,
per tratteggiare una valutazione democratica del servizio scolastico.
Un punto ormai è chiaro e sicuro: la misura del
valore aggiunto di un insegnante con i punteggi degli studenti nei test di
alcune discipline è errata, va scartata. Non si selezionano i buoni insegnanti
con test ad alta posta in gioco. Probabilmente il numero degli insegnanti
diminuirà con l'insegnamento "blended", ossia con una didattica che
mescola nuove tecnologie e corsi tradizionali "faccia a faccia", ma
nelle scuole entreranno nuove figure come per esempio i periti di informatica
incaricati della manutenzione delle reti di informatica, delle apparecchiature.
Altre figure professionali insomma, con formazioni diverse ma non solo tecniche
perché si tratta di collaborare con insegnanti e studenti. I
"clienti" non saranno come quelli della vita quotidiana, ossia
persone adulte, persone anziane, giovani coppie che hanno una logica , una
mentalità, esigenze diverse. Queste formazioni non si improvvisano, non si
effettuano in seminari di qualche ora, di un paio di giorni, vanno predisposti,
pensati, sperimentati. Finora non esiste nessuna traccia di questa prospettiva
nel sistema scolastico italiano, né a livello dell'amministrazione centrale né
a quello regionale.
Punto quarto: più autonomia, maggiori controlli e
valutazione di sistema
Tuttoscuola ha perfettamente ragione quando ribadisce
che il servizio nazionale di valutazione della scuola (INVALSI) debba essere un
ente autonomo, indipendente dal ministero.
I servizi nazionale di valutazione dei sistemi d'istruzione e di
formazione devono potere fruire della massima libertà di azione. Ovviamente
occorre un'interfaccia con i responsabili politici. Un esempio lo si ha nel
caso del NAEP negli USA. Giuridicamente, i servizi di valutazione non possono
essere nel contempo né giudice né accusato.
Siccome, con grande probabilità, non si potrà fare a
meno di un servizio nazionale di istruzione e di formazione, questo ente
specialistico avrà come compito principale la valutazione delle prestazioni del
servizio nazionale d'istruzione, di svolgere comparazioni internazionali, di
attuare comparazioni territoriali all'interno del sistema, e dovrà rendere
conto annualmente ai rappresentanti della Repubblica e forse anche al
Presidente dello Stato dell'evoluzione di questo servizio. Questo è un modo per
dare un senso politico alla valutazione nazionale. A questo punto, poco
importa, se il servizio sia ampiamente centralizzato o decentralizzato, se la
valutazione venga fatta in un modo od in un altro. Essenziale è invece il
ritorno di informazioni ai finanziatori principali del sistema, alle scuole,
agli operatori scolastici, ai responsabili locali della politica scolastica. Ma
il semplice ritorno di informazioni non basta di per sé. Quanto succede in
altri sistemi scolastici è eloquente.
Allo stato attuale della situazione, la maggioranza
degli operatori scolastici non è in grado di leggere le informazioni prodotte
dai valutatori, di capirle. Quel che succede in genere è invece
un'interpretazione unilaterale e spesso grossolana dei mass media.
L'impostazione di un modello di valutazione indipendente e regolare delle
scuole, degli insegnanti, degli studenti esige anche in questo caso la
predisposizione di corsi di formazione adeguati per tutti coloro che
partecipano alla valutazione oppure che in un modo od in un altro sono
coinvolti nella valutazione ma questi corsi non si possono svolgere in un paio
di ore. L'uso delle informazioni va preparato e sperimentato perché si sa che
la stragrande maggioranza degli insegnanti e dei dirigenti non ha per il
momento le competenze per capire le valutazioni. Evidentemente occorrono risorse per
organizzare questi corsi.
Inoltre, è opportuno ricordare, che la valutazione
non può basarsi unicamente su prove strutturate che riguardano un numero molto
ristretto di discipline e che 1a valutazione democratica non può neppure
ridursi alla produzione di statistiche molto raffinate, ardue da comprendere.
Non esiste unicamente un solo tipo di valutazione di natura matematica. Per
realizzare valutazioni complesse, soddisfacenti degli istituti scolastici e
degli insegnanti e di tutti gli operatori scolastici, occorre percorrere ancora
molta strada. È proprio per questa ragione che gli enti incaricati di svolgere
le valutazioni devono essere indipendenti, debbono avere le mani libere per potere
sperimentare modalità alternative di valutazione, per discuterle pubblicamente,
per confrontare i risultati con
operazioni analoghe svolte dalla comunità internazionale dei valutatori,
per non essere soffocati dalle richieste invadenti del potere politico.
Non basta, come suggerisce Tuttoscuola completare
l'insieme dei valutatori con un numero sufficiente gli ispettori scolastici
adeguatamente preparati. Il ricorso agli ispettori è un modello di valutazione.
Ce ne sono altri che fanno a meno degli ispettori e che funzionano molto bene.
I vari modelli, almeno un paio, devono essere comparati tra loro, non con
esperienze condotte non in un paio di scuole, ma con indagini svolte in un
centinaio di istituti. Il campione di scuole deve essere rappresentativo
dell'insieme di scuole italiane. Se si opta per la soluzione degli ispettori,
questi devono essere integrati in un insieme di valutatori e vanno quindi
preparati in modo adeguato. Non basta, com'è stato fatto in Italia, predisporre
un concorso, del resto incompiuto, per reclutare qualche centinaia di
ispettori.
Punto quinto: individuazione “chirurgica” degli
sprechi e delle diseconomie
Questo punto è forse il più debole delle sei proposte
elaborate da Tuttoscuola. Infatti, la questione degli sprechi è trattata
unicamente dal punto di vista dei consorzi scolastici e della riduzione delle
sedi scolastiche. Orbene, non si nega che la geografia dell'edilizia scolastica
vada riveduta, ma anche in questo caso le scelte da operare dipendono dagli
scenari scolastici e dalle scadenze. In certi sistemi scolastici sono stati
realizzati in questi ultimi anni consorzi di scuole primarie e di scuole medie
molto rilevanti che hanno fatto letteralmente sparire le piccole scuole di
villaggio con una trentina di alunni o che
hanno generato scuole medie moderne in zone rurali dove un tempo la
dispersione delle scuole medie era molto importante. Due fattori almeno vanno
presi in considerazione: la qualità dell'istruzione e il rispetto dell'obbligo
scolastico.
La questione dei consorzi scolastici non è soltanto
una faccenda di risparmi o di lotta agli sprechi. I criteri per decidere sul da
farsi variano in funzione della densità della popolazione, del capitale sociale
locale, nella vitalità della vita comunitaria, degli sbocchi professionali,
ossia dell'economia locale. Questi criteri non sono identici ovunque: per
esempio, quelli che dovrebbero essere applicati in Sardegna non coincidono con
quelli che dovrebbero essere applicati nelle valli laterali della Val d'Aosta.
Gli sprechi scolastici sono notoriamente rilevanti.
Questo non significa che le risorse stanziate per le scuole debbano essere
ulteriormente ridotte. Da tutto quanto detto finora, dovrebbe risultare
evidente il fatto che un servizio scolastico di istruzione statale efficiente,
equo, identico su tutto il territorio almeno dal punto di vista nelle
prestazioni, costa. Le riforme scolastiche non sono gratuite. Per questa
ragione, gli investimenti devono essere scaglionati lungo un arco di tempo
prolungato che non corrisponde alle legislazioni politiche ma che invece
spesso, purtroppo, soddisfa la durata delle cariche dei notabili locali che
sono in grado di detenere il potere per decenni e che quindi possono prevedere
investimenti a lunga scadenza. I notabili locali si servono di questa
opportunità per la propaganda elettorale e per potenziare le proprie posizioni
di potere.
Occorre infine anche aggiungere che le scuole, per
fortuna, in un certo senso, sanno difendersi e barano sui bilanci come pure sui
dati che le riguardano. Quindi, la lotta agli sprechi scolastici implica due
premesse: da un lato, la trasparenza delle informazioni che si ottiene
guadagnando la fiducia degli operatori scolastici e dall'altro l'onestà nella
produzione dei dati. La trasparenza dei dati esige che le famiglie siano al
corrente dei costi di una scuola, sia dei costi di gestione che di quelli di
manutenzione. Solo a questa condizione si può accettare un aumento delle tasse
locali, necessario per finanziare il miglioramento delle scuole e le riforme
scolastiche.
Punto sesto: digitalizzazione delle scuole (per
tutti)
Anche questo punto è assai debole: non basta infatti
rivendicare una digitalizzazione generalizzata delle scuole ma occorre essere
al corrente dei problemi che la digitalizzazione pone. Questi problemi non sono
di ordine tecnico, non si tratta soltanto di riempire le scuole di
apparecchiature. Questo è già stato fatto ormai con risultati disastrosi un
poco ovunque in quanto molto spesso i computer o le lavagne interattive non sono
affatto utilizzati come si deve oppure non sono neppure utilizzati. I
principali beneficiari sono state le ditte di produzione di apparecchiature
didattiche. Del resto, la maggioranza degli studenti ed anche degli alunni
delle scuole primarie sono molto più addestrati dei loro insegnanti nell'uso
delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione anche perché
dispongono di apparecchiature dell'ultimo grido che le scuole non possono
permettersi. In tutti i sistemi scolastici il problema è identico. La prima
fase della digitalizzazione è stata attuata anche perché gli enti locali ed i
notabili locali si sono dati da fare per attrezzare le scuole non tanto per
scopi pedagogici ma soprattutto per finalità politiche. Gli insegnanti, si sono
trovati di botto confrontati alla presenza di strumenti e di applicazioni
ignote, dalle enormi potenzialità dal punto di vista degli apprendimenti e
dell'insegnamento, che non padroneggiavano affatto. La reazione in molte scuole
fu quella di ammucchiare questi strumenti negli scantinati.
La digitalizzazione delle scuole è una sfida
colossale per il sistema scolastico. Anche in questo caso esistono due
strategie da considerare e tra le quali scegliere: una conservatrice ed una
radicale. Quella conservatrice consiste nell'adottare nella misura del
possibile le nuove tecnologie dell'istruzione della formazione per correggere i
difetti del servizio scolastico d'istruzione o per migliorarlo; quella radicale
invece consiste nel concepire un servizio scolastico del tutto diverso da
quello inventato nel corso dell'Ottocento, con edifici scolastici strutturati
in modo diverso, con programmi di altro ordine e con finalità di nuovo tipo.
Tutto ciò va messo alla prova con indagini scientifiche rigorose per
raccogliere elementi che permettono di comparare tra loro le varie soluzioni.
Questi esperimenti, queste indagini, costano e non durano soltanto un anno e
neppure sei mesi. Né si può pretendere che siano pagate dall'Unione Europea.
Devono essere indipendenti dal potere politico ed essere concepite in modo tale
da valorizzare la libertà d'istruzione, la creatività degli studenti, le
competenze degli insegnanti che tra l'altro si ignorano tuttora in gran parte,
perché si gestisce il personale scolastico come se tutti gli insegnanti fossero
uguali.
In altri termini, è indispensabile elaborare una
visione della scuola del futuro e smettere di proporre dotti trattati di
filosofia pedagogica che si rifanno ad autori del passato cresciuti in un
universo del tutto particolare, ben diverso da quello che si sta ora delineando
sotto gli occhi di tutti.