Riportiamo la voce referendum da IL 2016 DELLA SCUOLA, DALLA A ALLA Z : “ Secondo molti osservatori il netto no alla
riforma della Costituzione targata Renzi-Boschi (60%) non ha riguardato tanto
il merito di quella riforma (superamento del bicameralismo perfetto, riordino
del rapporto tra Stato e Regioni, CNEL…) quanto il metodo: l’aver imposto quel
modello facendo leva, soprattutto alla Camera, su una maggioranza parlamentare
gonfiata dalla legge elettorale (il ‘Porcellum’), senza aver cercato un
consenso più largo. La stessa obiezione mossa alla ‘Buona Scuola’ anche
dall’interno del PD. Il successo del sì avrebbe posto le premesse per gestire
con tranquillità riforme decisioniste come la Buona Scuola e il Jobs Act. Il
netto successo del no ha rimesso invece in qualche modo in discussione quelle
riforme: non, sotto il profilo della loro legittimità formale (anche se sul
Jobs Act si resta in attesa della sentenza della Corte Costituzionale), ma dal
punto di vista della loro implementazione e gestione, che presenta ampi margini
di interpretazione, come mostrano bene i nove Decreti legislativi previsti
dalla legge 107/2015. La scelta del nuovo premier Gentiloni (e di Matteo Renzi
in qualità di segretario del PD) di sostituire il ministro dell’istruzione
Giannini con la ex sindacalista Valeria Fedeli (proveniente dalla Cgil, il sindacato confederale più critico verso la Buona
Scuola) lascia intendere che la lezione del referendum è stata recepita, e che
la linea decisionista del primo governo Renzi subirà con Gentiloni una
sostanziale correzione in direzione del recupero di un rapporto meno
conflittuale con i cosiddetti ‘corpi intermedi’, in primis i sindacati della
scuola “.