Da diversi anni a questa parte la scuola
pubblica italiana è centro gravitazionale di molteplici attività di riforme permanenti. In altre parole non esiste alcun esecutivo
degli ultimi decenni che si sia sottratto alla voglia di marchiare con il nome
dell’ambizioso ministro di turno ( a volte anche con quello di qualche Presidente del Consiglio ) il mondo della
scuola, confidando di affermare così il proprio decisionismo e la propria
identità politica.
La scuola si è sempre prestata particolarmente bene a questo
desiderio, passando da riserva di caccia protetta della DC sotto la prima
Repubblica, a terra di bracconaggio degli esecutivi in cerca di facile
visibilità. Detto questo vediamo chi
difende gli interessi (e la dignità) della scuola intesa come luogo di
formazione e di merito? Nessuno! Neanche
genitori e studenti, anche se questi dovrebbero essere i primi a battersi per
una scuola di qualità.
Tendenzialmente gli italiani che usufruiscono dei
servizi della scuola pubblica,
disprezzano chi ci lavora. Infatti, l’insegnante è una figura socialmente
declassata, considerato un parassita «con tre mesi di vacanza che lavora
quattro ore al giorno», per citare una formula tipica di chi di scuola e
istruzione capisce poco o nulla. Oggi la scuola è vista sempre più come un
parcheggio per i figli, come se il compito degli insegnanti si risolvesse in un
babysitteraggio gratuito. Sentire frasi del tipo “non so dove metterli”,
riferito ai figli come fossero pacchi postali, fa capire la gravità della situazione in cui la
scuola si trova. Se poi aggiungiamo le proteste per i compiti delle vacanze
estive, il quadro è completo.
Aldo Domenico Ficara