I precari sono una corporazione?

di Alessio Nappi

Nei giorni scorsi insegnanti precari, ministro Profumo e Tuttoscuola hanno dato vita ad una vivacissima polemica.Ha destato scalpore, fra i precari, il fatto che la nota testata on line abbia usato il termine corporazione per parlare dei precari.
Ad un precario "storico", molto attivo nei forum, abbiamo chiesto di intervenire sulla questione (red).
“I precari sono una corporazione?”
Certo che non lo sono! Il loro stesso status di “precari”, soggetti alle decisioni politiche più varie, da sempre contrapposti tra “ordinaristi” e “sissini”, sostenitori del “pettine” o della “coda”, amanti o nemici del riservato (il lettore non aduso allo “scolastichese” mi perdoni!), risolve definitivamente la questione. Eppure l’articolo apparso su Tuttoscuola, in data 16 agosto 2012, non è mera boutade giornalistica, perché è vero, “i precari, o almeno quelli che si riconoscono nelle posizioni espresse in questa lettera di contro-auguri, sono assolutamente contrari ai concorsi aperti ai giovani aspiranti insegnanti”.



Ho conosciuto, nel corso di questi anni, colleghi straordinari, preparatissimi, disposti financo a lottare per una scuola migliore, dinanzi ai tagli continui ed a scelte politiche a dir poco discutibili. Qualcuno fa persino parte di quel gruppo di precari, cui è indirizzata la risposta di Tuttoscuola, ma l’affermazione sopra riportata resta innegabile. La stragrande maggioranza dei docenti precari è ostile nei confronti della possibilità di un nuovo concorso ordinario, a distanza di 13 anni dall’ultimo, anche se il comma 1 dell’art. 15 del bando del concorso del 1999 affermava: “Conseguono il diritto di ricevere la proposta di contratto a tempo indeterminato i candidati che si collocano nella graduatoria di merito in posizione utile, in relazione al numero dei posti vacanti e disponibili in ciascuna provincia nel triennio di validità delle graduatorie, determinati secondo le prescrizioni richiamate all’art.1, commi 4 e 5”.
Il rispetto delle norme ha, nel nostro paese, il tempo di uno sbadiglio. Sin dal 2002 iniziai a chiedere – allora fresco di laurea, non aduso alla burocrazia scolastica ed alle leggi non scritte che tutto dirigono e governano – un nuovo concorso. Anch’io volevo giocarmela, avere la possibilità di farcela, così come era stato per moltissimi aspiranti docenti. Nulla da fare. Era tutto chiuso, la sola possibilità essendo offertami dalle SSIS, le scuole di specializzazione a numero chiuso, con esame di stato abilitante dopo un corso di ben due anni. Da allora è trascorso un decennio e sono ancora qui a chiedermi perché mai, in questo paese, le norme non si rispettino, perché debbano essere assunte in ruolo – a distanza di 13 anni dall’ultimo concorso o, addirittura, di 22 anni, se consideriamo che per molti docenti l’ultimo concorso risale al 1990 – persone risultate idonee (non vincitrici, si badi!), nel mentre migliaia di persone, che hanno avuto il grande demerito di nascere in ritardo e di non essersi laureate entro il 1999, debbano restare al palo.
A mero titolo informativo, per il lettore non esperto di regolamenti scolastici, ricordo che il superamento di un concorso ordinario ha permesso l’iscrizione nelle graduatorie di merito (d’ora innanzi, GM) e nelle attuali graduatorie ad esaurimento (d’ora innanzi, GaE), mentre qualsivoglia altro canale abilitante (ossia, mi si conceda l’espressione, “tutto ciò che è venuto dopo il 1999”) ha reso possibile esclusivamente l’inserimento nelle GaE. “Doppio canale” si chiama la contemporanea iscrizione nelle GM e nelle GaE, che offre – lo dice il nome – una possibilità doppia di essere assunti. Nel 2002 me lo chiedevo e dopo un decennio continuo a chiedermelo: perché mai a me è stata negata tale possibilità?
È evidente che chi osteggia un nuovo concorso lo fa per due ragioni: la prima, in virtù della quale si è presenti nella GM e non si vuole perdere l’opportunità, ben al di là di ciò che era previsto dall’art. 15 del bando concorsuale, di andare in ruolo; la seconda, per la quale – pur non avendo svolto il concorso o non avendolo superato – la GM, relativa alla propria classe di concorso, risulta esaurita (o prossima all’esaurimento), sì che le assunzioni vengono (o, a breve, verranno) effettuate interamente dalle GaE. Ragioni evidentemente comprensibili, ma che non possono giammai giustificare l’ostilità nei confronti di un nuovo concorso. Non solo perché atteso sin dal 2002 (e allora che la si smetta con questa stortura!), ma soprattutto perché (e qui tocchiamo davvero il tasto dolente) per gli ultimi arrivati – esclusi dalle GaE che sono state definite “ad esaurimento” e, pertanto, chiuse a nuovi accessi – la sola possibilità di giocarsi la carta dell’insegnamento è rappresentata da un concorso. Delle due l’una: o la macchina concorsuale torna a mettersi in moto, oppure a migliaia di aspiranti docenti, che pure intanto si saranno abilitati con il TFA, il nuovo canale che vivaci polemiche sta suscitando, verrà detto di attendere. Chissà per quanto.
Nell’articolo di Tuttoscuola si riporta un passo della lettera indirizzata al ministro Profumo, nella quale si sostiene che il concorso finirebbe per sparigliare “Graduatorie faticosamente scalate”, nonché “violerebbe qualunque norma giuridica sui diritti acquisiti e che cozza contro il più elementare buon senso”. Innanzitutto è evidente che in un nuovo concorso non vi è violazione di norma alcuna, ma – in seconda battuta – discutibile è anche l’affermazione per la quale un nuovo concorso ordinario annullerebbe, a tutto vantaggio dei “giovani”, le posizioni raggiunte dai cosiddetti “precari storici”. Se, infatti, si possono “scalare” esclusivamente le GaE, nelle quali, ad ogni rinnovo, vi è l’opportunità di aggiornare il proprio punteggio in virtù del servizio prestato e/o dei titoli conseguiti, allora è evidente che un nuovo concorso finirebbe per produrre, ormai anche il lettore inizialmente poco esperto dovrebbe riconoscerlo, esclusivamente una GM, dalla quale assumere per il 50% dei posti disponibili. In terzo luogo c’è la questione del “buon senso”: ha, forse, senso continuare ad assumere persone che hanno svolto, a distanza di più di un decennio, una prova concorsuale, nel mentre chi lavora annualmente nella scuola è costretto – proprio in virtù di questo sistema – alla precarietà eterna?
Alla domanda iniziale bisogna, pertanto, rispondere con un “no” secco. I precari sono lontani anni luce da ogni possibile forma di corporazione, essendo – semmai –sacrosanto richiedere con forza, dopo anni di precariato, l’assunzione: nessun paese civile dovrebbe tollerare uno scempio del genere, con professionisti trattati in maniera squallida, costretti annualmente al sussidio di disoccupazione, dopo aver svolto, con rigore e serietà, un lavoro fondamentale, quale quello dell’insegnante. La lettera indirizzata al ministro Profumo ha qui, penso di poterlo dire senza essere smentito, la sua origine: troppo forti l’attesa di un cambiamento e l’esigenza di adeguate politiche perché la delusione non risultasse cocente. Ma attenzione, pur dinanzi ai tagli che la scuola continua a subire, alla voglia di cedere al corporativismo. Da docenti e amanti della scuola non ce lo possiamo permettere, così come non tollerabile l’idea secondo la quale nascere in ritardo debba essere una colpa da espiare. Lo dico, con affetto, a molti dei miei colleghi, dai quali ho senza dubbio tanto da imparare, ma ai quali mi permetto anche di rivolgere un consiglio.
Ultima precisazione. La chiusa dell’articolo riportato da Tuttoscuola non ha, a mio avviso, diritto d’ospitalità. L’immobilismo di questo paese è dovuto essenzialmente alle corporazioni, retaggio medievale capace di tutelare il proprio privato interesse, dinanzi ad ogni possibile tentativo di riforma. Siamo proprio così sicuri che “persero tutte”?