Scuola, il maxi-concorso non basta

di Alessandro Figà Talamanca - 8 ottobre 2012


Ha senso mettere a concorso oltre 11mila cattedre quando ci sono centomila insegnanti precari inseriti in graduatorie che dovrebbero, prima o poi, assicurarne l'assunzione in ruolo? Non avrebbe più senso bandire concorsi solo per le discipline per le quali risultano esaurite le graduatorie, come propongono i sindacati?
Una prima risposta a queste obiezioni è che i concorsi sono previsti dalla legge e dalla Costituzione. Il fatto che le norme siano state disattese nell'ultimo decennio non giustifica che si continui ad ignorarle.



Tuttavia non è questo l'argomento principale a favore dei concorsi, ma piuttosto è che l'alternativa ai concorsi non può essere che il proseguimento sulla strada delle "graduatorie" che dovrebbero essere allora estese anche ai futuri abilitati. È vero che, le attuali graduatorie sono "ad esaurimento", ma in presenza dei nuovi abilitati che usciranno presto dal Tirocinio Formativo Attivo (Tfa) e in assenza di concorsi non sarà possibile negare ai nuovi almeno il diritto di occupare gli ultimi posti delle graduatorie. Si avrebbe quindi a titolo permanente un sistema in cui i posti scoperti in organico sarebbero ricoperti, da chi è più avanti nelle graduatorie, ha cioè un punteggio più alto. Il punteggio, a sua volta, sarebbe, come oggi, determinato dagli anni, i mesi o le settimane di insegnamento in una scuola statale o "paritaria". Per entrare nei ruoli il laureato (quinquennale) dovrà fare un altro anno di formazione specifica attraverso il Tfa e poi andare a caccia di supplenze, magari solo di qualche settimana, per acquisire "punti" e scalare le graduatorie. Per rendersi conto di quanto sia assurdo squesto sistema basta ascoltare le voci diffuse secondo le quali esistono oggi scuole paritarie (specialmente nel mezzogiorno) che non pagano nemmeno i docenti assunti per supplenze, dal momento che molti laureati sono disposti a lavorare gratis pur di acquisire "punti".
Se accettiamo il sistema delle graduatorie dovremo quindi accettare che un neolaureato che voglia fare l'insegnante metta in conto, per entrare nei ruoli, un sesto anno di studi universitari e poi diversi anni di supplenze, forse nemmeno pagate, per scalare la sua "graduatoria". Questo sistema sembra studiato per allontanare i migliori laureati dalla professione di insegnante. Solo chi proprio non ha altre possibilità di trovare lavoro accetterebbe queste condizioni di accesso alla professione.
Possiamo ricordare che un tempo l'insegnamento era la professione immediatamente disponibile, attraverso un concorso, ai migliori laureati, e che proprio per questo la maggioranza dei professori universitari di lettere avevano iniziato la loro carriera di studioso come professori di liceo.


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