Perché è sbagliato occupare la scuola

I ragazzi vanno ascoltati. Il lungo attacco all’istruzione pubblica va fermato. Ma il bivacco è controproducente. E danneggia i figli dei poveri



No Accanto alle inaccettabili aggressioni neofasciste, nelle scuole romane (e non solo) si riaffacciano i fantasmi sessantottini delle occupazioni. Al riguardo tra i sessantottini, quelli veri, prevalgono due atteggiamenti contrastanti. Nessuno dei due però mi pare condivisibile.
Da una parte ci sono i commentatori che minimizzano, irridono, condannano. Le comprensibili ansie di una generazione sono degradate a “ritualità”, oppure considerate un’imperdonabile violazione dell’ordine costituito; il che, in bocca a chi un tempo annunciava ai borghesi di avere solo pochi mesi di vita e magari si è poi messo al servizio di Berlusconi, è un po’ ridicolo.





Dall’altra parte ci sono i genitori che si inteneriscono, comprendono, solidarizzano. Diffondono via Internet, presentandole come prove di impegno sociale e politico, foto di occupanti che riverniciano i muri e fanno la raccolta differenziata (qui i cartoni della pizza, là le lattine di birra). E non si accorgono, nella difesa a oltranza della prole, di diventare un po’ patetici.
I giovani sono preoccupati per il proprio futuro, e ne hanno motivo. La loro richiesta di attenzione è giusta. La denuncia di una lunga stagione di attacchi alla scuola pubblica è sacrosanta. Dialogare con loro è opportuno e necessario: per i genitori, per i professori, per i politici. Ma occupare le scuole a oltranza, bloccando l’anno scolastico e rendendo difficile o impossibile studiare a chi desidera farlo, è – proprio alla luce della situazione storica in cui ci troviamo – un errore.
Sta passando in Italia l’idea che studiare, prepararsi, formarsi non serva a nulla. Che basti inserirsi in un circuito di relazioni personali, dovute alla nascita, al matrimonio, alle amicizie, alle clientele. Niente di più sbagliato. I giovani italiani hanno grandi chances nel mondo globale. A patto che studino di più, si preparino più a fondo, si formino meglio. Affacciarsi alla vita pubblica, anche con la protesta, è una tappa inevitabile del loro percorso. Occupare a oltranza le scuole è controproducente. Non giova alla causa. Allontana le simpatie dell’opinione pubblica. E danneggia in particolare i figli delle famiglie meno agiate, che di buoni studi e buona formazione hanno particolarmente bisogno per trovare un lavoro adeguato al loro talento e ai loro meriti.
Nella bufera che travolge tutte le istituzioni (Quirinale a parte), resistono solo i Comuni. Dall’attacco alle élites – partiti, sindacati, banche, gerarchie ecclesiastiche, baronie universitarie – si salvano soltanto i sindaci. Perché sono eletti dai cittadini, e perché il campanile è la vera misura del localismo italiano, che quando non degenera rimane una ricchezza. Per questo è giusto che i bravi amministratori possano investire quel che hanno risparmiato, senza soggiacere ai vincoli riservati a chi invece ha sperperato e magari rubato.



29 novembre 2012