La moglie di Letta: “Tagliamo la scuola di un anno, così risparmiamo sui prof”

Si scrive Gianna Fregonara, si legge Enrico Letta (nella foto Getty Images). La moglie del premier – visto che il piddino non ne ha il coraggio – oggi sul Corriere della Sera ha espresso quella che è la linea del governo sulla scuola, perfettamente identica a quella dell’esecutivo Monti. L’obiettivo: risparmiare una valanga di miliardi. Come? Ma nel modo più semplice, quello che non era riuscito nemmeno ai peggiori Berlusconi, Tremonti e Gelmini: riducendo la scuola – per giunta quella secondaria – di un anno.
La proposta in un lunghissimo articolo dal titolo: “A scuola c’è un anno di troppo”.




“Farebbe la felicità dei ragazzi e, secondo una parte consistente di pedagogisti ed esperti, anche il loro bene – scrive la Fregonara. – Sarebbe una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato: risparmio stimato, tre miliardi. Piace ai professori universitari e agli imprenditori. Contrari «senza se e senza ma» i sindacati degli insegnanti. I ministri dell’Istruzione da dieci anni a questa parte sono personalmente favorevoli, ma il dibattito politico è fermo da quando, nel 2001, fu sotterrata la riforma Berlinguer. Stiamo parlando di uscire da scuola un anno prima, a 18 invece che a 19 anni: in linea con gli altri Paesi europei e con gli Stati Uniti, nonché con il gigante cinese. Il modo più semplice sarebbe tagliare un anno di superiori. Finora il liceo di 4 anni è stato avviato a livello sperimentale solo da alcune scuole paritarie lombarde con l’ok del ministero. Visitando il liceo Guido Carli di Brescia il ministro competente, Maria Chiara Carrozza, ha detto che, se ci fosse stata questa possibilità ai suoi tempi, lei avrebbe volentieri «studiato in una scuola come questa». Alcuni presidi di licei e istituti tecnici statali, da Verona a Bari, l’hanno presa in parola: dall’anno prossimo la secondaria superiore di 4 anni parte anche nelle scuole pubbliche”.
Insomma, l’obiettivo del governo, esposto dalla moglie di Enrico Letta dalla pagine del Corriere, come dal ministro Carrozza, è chiarissimo: tagliare la scuola di un anno per ridurre i costi dello Stato di 3 miliardi di euro l’anno. E pazienza se nelle statistiche Ocse i nostri ragazzi sono già fra i più ignoranti d’Europa. Pazienza se l’Italia è già, fra gli Stati economicamente sviluppati, quello che investe meno nell’istruzione. Un popolo ignorante, si sa, è più facile da governare.

http://www.controcopertina.com/la-moglie-di-letta-tagliamo-la-scuola-di-un-anno-cosi-risparmiamo-sui-prof/

Di seguito si riporta l'articolo dal titolo: “A scuola c’è un anno di troppo” di Gianna Fregonara e Orsola Riva:



Farebbe la felicità dei ragazzi e, secondo una parte consistente di pedagogisti ed esperti, anche il loro bene. Sarebbe una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato: risparmio stimato, tre miliardi. Piace ai professori universitari e agli imprenditori. Contrari «senza se e senza ma» i sindacati degli insegnanti. I ministri dell’Istruzione da dieci anni a questa parte sono personalmente favorevoli, ma il dibattito politico è fermo da quando, nel 2001, fu sotterrata la riforma Berlinguer. Stiamo parlando di uscire da scuola un anno prima, a 18 invece che a 19 anni: in linea con gli altri Paesi europei e con gli Stati Uniti, nonché con il gigante cinese. Il modo più semplice sarebbe tagliare un anno di superiori. Finora il liceo di 4 anni è stato avviato a livello sperimentale solo da alcune scuole paritarie lombarde con l’ok del ministero. Visitando il liceo Guido Carli di Brescia il ministro competente, Maria Chiara Carrozza, ha detto che, se ci fosse stata questa possibilità ai suoi tempi, lei avrebbe volentieri «studiato in una scuola come questa». Alcuni presidi di licei e istituti tecnici statali, da Verona a Bari, l’hanno presa in parola: dall’anno prossimo la secondaria superiore di 4 anni parte anche nelle scuole pubbliche.
In realtà, la rimodulazione dei cicli scolastici era diventata legge già nel 2000 (legge n. 30), ministro Luigi Berlinguer: le superiori rimanevano di 5 anni, ma medie ed elementari erano accorpate in un ciclo unico di 7 anni. La riforma fu seppellita da Letizia Moratti, arrivata a viale Trastevere nel 2001. Nemmeno la Gelmini volle esercitare le sue forbici sul percorso dalle elementari alle superiori. L’ultimo a esprimersi a favore di una riduzione del curriculum dei liceali è stato Francesco Profumo, che lo aveva indicato tra le priorità del 2013. Ma le forze politiche su questo tema sono in difficoltà, perché, come dimostra anche il destino della riforma Berlinguer, i sindacati fanno muro sulla riduzione di un anno, temendo il taglio degli insegnanti: «In questo momento non ci sono le condizioni, prima servono investimenti per la scuola», è la riposta della Flc-Cgil. Non è un caso che nei programmi dei partiti non si parli della riduzione da 13 a 12 anni del percorso scolastico, ma tutt’al più, nel programma del Pdl, si trovi l’anticipo a 5 anni della scuola elementare: un modo per raggiungere l’obiettivo del diploma a 18 anni aggirandone i costi politici.
Fuori dai nostri confini ci sono altri Paesi, per la verità non molti, in cui la scuola inizia un anno prima: l’Inghilterra con Malta e Cipro, e l’Irlanda del Nord, dove addirittura si incomincia a 4 anni (gli Stati Uniti, invece, partono dai 6 come noi; idem la Francia, il Belgio, la Spagna, la Germania, l’Austria). Ma quest’ipotesi non incontra il favore dei pedagogisti. Spiega Susanna Mantovani, professore ordinario di Pedagogia generale alla Bicocca di Milano: «I Paesi che hanno i migliori risultati nei test Ocse, come per esempio la Finlandia, iniziano addirittura a 7 anni. E poi, avendo noi una buona scuola dell’infanzia, mi pare illogico tagliare un anno all’inizio del percorso scolastico solo perché il liceo in Italia è sacro». Luigi Berlinguer taglierebbe semmai l’ultimo anno di scuola elementare. O meglio: «Lo si potrebbe accorpare alla prima media — spiega a “la Lettura” l’autore dell’inapplicata riforma del 2000 — per un passaggio più morbido tra l’educazione primaria e quella secondaria-disciplinare. Ormai gli istituti comprensivi, dove elementari e medie si trovano anche fisicamente nello stesso posto, sono molti. Cinque scuole hanno chiesto questa sperimentazione, ma il ministero non ha dato il permesso».
La soluzione più a portata di mano resta quella di rivedere i programmi delle superiori e tagliare a fine percorso. Non solo perché, come spiega Mantovani, che per anni è stata contraria a questa ipotesi, ma ora ha cambiato idea, oggi «i ragazzi sono stufi, privi di motivazione e questo dimostra che il vecchio impianto gentiliano è affaticato». L’ultimo «dovrebbe diventare un anno di passaggio — suggerisce — in cui si esce dalla gabbia dei programmi per incominciare a nuotare da soli: si potrebbe anche pensare che chi è pronto si iscriva subito all’università». Per Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli non è tanto questione di risparmi (per lo Stato) o di non perdere tempo nell’ingresso del mondo del lavoro: «Questo tema riguarda soprattutto i laureati, che si confrontano con i loro coetanei stranieri; molto meno invece i diplomati, che restano a lavorare in un ambito locale. E per i laureati i ritardi maggiori si accumulano all’università». Il punto è, secondo Gavosto, «che il nostro sistema distribuisce l’investimento sul capitale umano, cioè l’istruzione, in un modo che funzionava 50 anni fa. Oggi i ragazzi nell’ultimo anno di superiori si annoiano: vorrebbero andare all’estero e invece sono lì bloccati. Sarebbe molto più utile riservare un anno di istruzione o formazione da poter usare durante l’esperienza lavorativa, sul modello anglosassone o scandinavo dei prestiti di onore».
Qualche esperimento di anticipare l’università al quinto anno di scuola superiore è in corso. Quello di Ca’ Foscari per esempio: in tre licei veneti durante l’ultimo anno si può frequentare anche un corso universitario. Chi passa l’esame ha un credito per l’anno successivo, insomma un esame fatto. Anche vista dal mondo accademico infatti, la riduzione del curriculum scolastico è necessaria. «È dimostrato — spiega Alberto De Toni, rettore dell’Università di Udine e responsabile istruzione e alta formazione della Conferenza dei rettori — che la divisione del percorso in due cicli diminuisce la dispersione scolastica e dunque il sistema 7+5 sarebbe più utile per gli studenti e le famiglie. In Italia viviamo poi anche il paradosso che, essendo l’istruzione obbligatoria fino a 16 anni e ricevendo invece i ragazzi la qualifica degli istituti professionali a 17, almeno il 20% dei ragazzi dei professionali lascia prima di ricevere la qualifica, alla fine del secondo anno. Se iniziassero un anno prima, a 16 anni potrebbero avere il diploma. Ridurre di un anno il curriculum scolastico poi è un bel risparmio anche sociale e per le famiglie e a 21 anni avremmo dei laureati (laurea breve) come nel resto d’Europa».

Continua a leggere nel seguente link:

http://www.corriere.it/scuola/13_dicembre_01/riforma-cicli-liceo-quattro-anni-316bbfb2-5a6b-11e3-97bf-d821047c7ece.shtml