Una scuola più breve e selettiva

di Alessandro Ferretti e Francesca Coin



Ridurre il liceo a quattro anni: una mossa curiosa per un paese come l’Italia in cui la percentuale di popolazione (25-64 anni) senza diploma è nettamente superiore rispetto alla media europea. Perché, dunque, questa riforma, a nostro avviso l’azione più dannosa intrapresa sino ad ora dal ministro Carrozza?
Il piano complessivo di “adeguamento agli standard europei” ha uno scopo chiaro ed esplicito: anticipare di un anno la fine della scuola (loro dicono, anticipare “l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro” – quale lavoro?). Secondo l’articolo del Corriere A scuola c’è un anno di troppo del 5 dicembre 2013, tagliare è fondamentale per ottenere tre miliardi di risparmio, il dubbio è solamente se fondere la quinta elementare con la prima media, e/o ridurre il liceo a quattro anni. Il dibattito aleggia già da diverso tempo. Lo scorso anno era stato l’economista Daniele Checchi a mostrare, all’interno della conferenza dell’Associazione Treelle e della Fondazione Rocca, come in Italia la scuola primaria e secondaria avessero “indicatori anomali rispetto alle medie UE”. Per indicatori anomali, si vedano le slides, invece che sulla insufficiente retribuzione degli insegnanti o l’elevato numero di drop out, si puntava il dito sul numero troppo basso di studenti per insegnante e su una spesa per studente troppo alta nella scuola primaria. “Spesa troppo alta”: un concetto che fa quasi ridere. Ergo, per “ridurre gli sprechi”, i.e. il numero troppo basso di alunni per classe e il numero troppo basso di ore annue di insegnamento frontale per insegnante, l’economista suggeriva di razionalizzare l’allocazione delle risorse. La riforma attuale va in questa direzione.
Infatti tagliare significa accorpare i piani di studio dell’ultimo anno del liceo agli anni precedenti, in modo tale da mantenere intatti “gli obiettivi di apprendimento rispetto al percorso in cinque anni” e rivoluzionare il tempo-scuola aumentando il monte orario settimanale. Come dice il preside Giuliano del liceo Majorana: “Per capirci, se prima avevamo 27 ore a settimana al biennio e 30 ore a settimana al triennio, nel liceo a quattro anni si fanno fin da subito 36 ore a settimana”. In altri casi si parla di un primo biennio di 34 ore settimanali, con un incremento non da poco rispetto alle 27 del liceo tradizionale, mentre sono 35 anziché 30 quelle del secondo biennio. Ma non finisce qui: si può anche estendere il numero dei giorni, riducendo le vacanze: il San Carlo di Milano oltre a prevedere 30 ore al mattino e tre rientri al pomeriggio, prevede di passare da 200 giorni di scuola all’anno a 225, tagliando netto 25 giorni di vacanza a studenti e insegnanti.




Come dicevamo, questa è una situazione win-win, secondo i nostri economisti mainstream. Aumentare il monte ore settimanale e annuale, infatti, aumenta l’intensità del lavoro e la sua estensione nel tempo di lavoro extra-scolastico. In altre parole, le classi pollaio richiedono più impegno per ogni insegnante (correggere i compiti, seguire gli studenti: tutto lavoro non pagato), e poi ci sono i bonus derivanti da un liceo più piccolo e meno costoso: per dirne una, un quinto della cubatura dei licei italiani può ora essere dismessa, svenduta, demolita o monetizzata quale oggetto di speculazioni edilizie.
Ma per capire davvero come mai questo obiettivo sia così importante bisogna andare al di là dei soli indicatori economici. Verrebbe da citare uno studio di Krashinsky (2006; 2009), secondo il quale ridurre la scuola di un anno ha un effetto negativo “significativo e robusto” sulla performance degli studenti all’università. In altre parole, “ridurre la durata della scuola di un anno ha effetti avversi” non solo sul piano delle competenze ottenute, ma anche sui salari futuri e comporta, per gli studenti, una peggiore capacità decisionale. Ma forse per il mercato questo non è un male. Infatti la crescita dell’impegno scolastico quotidiano funge da filtro selettivo precoce. In altre parole, elimina preventivamente chi non riesce o non può stare al passo, per qualunque ragione, trasformando così la crescita del rigore educativo in un fattore causale di crescita dell’abbandono scolastico. Come ripetuto infinite volte nella letteratura angloamericana, implementare gli standard educativi senza sostenere gli studenti con risorse, azioni di tutoraggio e sostegno, scoraggia gli studenti più fragili, per origini culturali o economiche, causandone la fuoriuscita precoce dal mondo dell’istruzione, in un processo che ne trancia immediatamente le aspettative ed opportunità di vita. Evidentemente questo non importa granché ai nostri riformatori.
Tornando al preside Giuliano, infatti, questa sembra una cosa positiva: “La selezione … dovrà esserci eccome”. “Non si può pensare di coinvolgere nel percorso a quattro anni ragazzi che normalmente ne impiegherebbero sei. Si tratta comunque di un’azione che vuole valorizzare l’eccellenza”. Insomma, “eccellenza” uguale “selezione”, “umiliazione” e “esclusione”. Non a caso le proposte formative sono esplicitamente riservate a studenti già eccellenti: “s’intende destinare il corso liceale d’eccellenza agli alunni delle terze medie che riportano agli esami finali conclusivi del primo ciclo la votazione finale di 8-9-10/10”. In altre parole, per passare indenne la prima fase della sperimentazione basta effettuarla su un campione di studenti non rappresentativo della media degli studenti italiani. Come si capisce nel caso liceo San Carlo di Milano, il “Progetto Eccellenza”, viene così testato su studenti sopra la media e rimarrà riservato a soli quelli, escludendo tutti gli altri, ovvero gli studenti che evidentemente costoro considerano “di seconda qualità”.
In conclusione: una scuola più breve. Una scuola più selettiva. Una scuola che seleziona i propri studenti sulla base dell’ontologia: è necessario tagliare gli studenti improduttivi per trasformare magicamente il fallimento del mercato italiano in un fallimento dello studente, che non è in grado di “stare al passo”. E il resto degli studenti? E il Sud? E l’abbandono scolastico? Infine, gli studenti, che ne pensano? Perché sebbene Fregonara dalle colonne del Corriere chiosi con toni trionfalistici che la riforma “farebbe la felicità dei ragazzi”, questi di fatto replicano con “un no motivato ed incontestabile”, non a caso laddove vi è stato un referendum per sondare l’opinione degli studenti su una questione simile (l’introduzione della settimana corta, con redistribuzione delle ore del sabato nei giorni rimanenti), questi hanno stroncato la proposta con un 77% di “no” al liceo classico e addirittura con l’88% di “no” al liceo artistico. Purtroppo di questi tempi il parere degli studenti rimane celato dietro alla cappa complice e inetta della stampa, che dalle sue colonne lascia filtrare solo una cosa: la più violenta e sfacciata determinazione nel portare a termine l’unico progetto politico sostenuto con coerenza dal Miur nell’ultimo ventennio: ridurre il più rapidamente possibile il numero di persone istruite, informate e consapevoli, affinché l’Italia possa finalmente diventare una risacca di manovalanza a basso costo facilmente governabile anche personaggi di dubbio calibro. Ma costoro, quando daranno le dimissioni?


http://comune-info.net/2013/12/scuolaintersa/