Ti tolgo, ti taglio e valutar ti voglio




di Claudia Fanti - 6 gennaio 2014

Leggo che il ministero ha intenzione di ripartire con una consultazione in grande stile rivolta addirittura a tutta la popolazione per farsi un’idea di come si voglia la scuola e per fare ancora una volta una riforma. Poi leggo in rete articoli e saggi veri e propri sulle necessità e i bisogni della scuola: sono scritti che provengono sia dal mondo universitario sia da quello dei diversi ordini scolastici. Leggo poi tutta una serie di indicazioni sul sistema di valutazione nazionale fino ad arrivare al sistema di valutazione nelle classi. L’idea che mi sono fatta è che per far fronte agli abbandoni e alla dispersione, generalmente i docenti puntano il dito verso la carenza totale di risorse, verso un sistema che li demotiva penalizzandoli economicamente fino al punto di bloccare gli scatti stipendiali o, addirittura, cosa gravissima e anticostituzionale, di lasciarli senza stipendio; essi spesso ricordano al ministro di turno che servono investimenti sul sostegno, un piano serio che riveda gli orari delle discipline nell’ordinamento vigente, che ridia dignità agli studi umanistici, in particolare alla storia dell’arte e alla storia. Essi chiedono strumenti per lavorare, investimenti anche sul facile consumo e sulla dotazione di libri alle biblioteche. La situazione del precariato e dei supplenti ha raggiunto il fondo, e da più parti si chiede che venga totalmente rivista la legge Fornero per consentire un ricambio generazionale e professionale; da più parti si sollecita la formazione di classi con un numero ridotto di alunni anche e soprattutto in presenza di portatori di qualche disabilità. Molti lamentano l’aggravio della burocrazia, in particolare per ciò che riguarda il registro elettronico e la sua funzionalità e utilità pratica alquanto criticata. In tanti chiedono di rivedere il meccanismo dei voti che ha conseguenze sulle pratiche metodologiche e didattiche. Molti esplicitano perplessità o addirittura contrarietà per la gerarchizzazione dei ruoli dentro la scuola che vede una responsabilizzazione eccessiva di alcuni collaboratori del dirigente, spesso reggente e oberato di lavoro su più plessi e scuole, e una mancanza di coinvolgimento democratico nelle scelte organizzative, pedagogico-didattiche degli altri in un clima di sospetti reciproci e di mancanza di ascolto, collaborazione, cooperazione e ricerca didattica che abbia una ricaduta vera sulle classi e sugli apprendimenti. Non piace l’Invalsi così come è strutturato, ma neppure si ritiene utile una valutazione tout court di sistema su base censuaria e a base di item che ovviamente per la vastità e per la complessità di insegnamento/apprendimento non possono essere altro che un’occhiatina dal buco della serratura su un puntino infinitesimale di competenze, le quali invece sono immensamente diversificate nei curricoli di studio e nei processi che si attivano per raggiungerle. Chiedono investimenti su un’edilizia che letteralmente crolla e che sia adeguata alle richieste ministeriali e dei programmi e quindi preveda aule diversamente progettate in cui sia possibile fare laboratorio, organizzare gruppi di lavoro, insegnare in rete, ecc. C’è poi tutta una serie di annotazioni che paiono essere ininfluenti per la qualità del lavoro che oggi si pretende, e invece andrebbero tenute in grande considerazione: sono le condizioni esistenziali di un docente precario che vorrebbe insegnare stabilmente oggi, nel terzo millennio, il quale è impegnato spesso in un’annosa lotta quotidiana estenuante non soltanto per superare concorsi o per attendere una chiamata che non arriva e che quindi lo distrugge moralmente ed economicamente, ma anche quando lo stesso si ritrova a lottare con trasporti inesistenti, spostamenti da una parte all’altra tra plessi talmente distanti fra loro da richiedere non un autobus sgangherato, bensì un elicottero! Si dirà: “Ma cosa c’entra tutto questo elenco di disagi con la qualità della scuola e con la lotta ad abbandoni e dispersione?“ C’entra eccome, se si vuole una scuola che sia diversa da quella degli anni ’50, quella, per intenderci, del Maestro di Vigevano con l’indimenticabile Alberto Sordi. Se la si vuole al passo con i tempi, c’entra mille volte, e soprattutto la consultazione annunciata dal ministro così come la valutazione di sistema, di un sistema che fa acqua e schiaccia i propri lavoratori, non approderà a nulla. In realtà la scuola per ora si è basata sul volontariato di quegli stessi insegnanti che esprimono i disagi, ma che poi una volta dentro le aule ce la mettono tutta per tappare le falle, per adempiere, anche se con rabbia, alle sciocchezze burocratiche imposte, per affiancare i ragazzi e le ragazze, per avere contatti con le famiglie. So che ogni qualvolta si rivendica la dignità di quanto si fa e si è fatto, una gragnola di insulti e di esempi tranchant viene portata per sostenere la tesi di una scuola che obera di compiti, di insegnanti fannulloni e ingiusti, ma ogni volta che la figura del magister vitae viene infangata, si abbassa ancor più il livello culturale di un intero Paese. Allora in molti si pensa che il sistema non ha bisogno della valutazione di sistema che valuta la valutazione dei docenti che valutano gli studenti, perché una valutazione di ciò che non c’è ma che si vorrebbe ci fosse, non ha senso! Semplicemente la scuola ha necessità vitale di politiche generali di attenzione al lavoro e ai lavoratori, di ascolto delle esistenze di ognuno/a di loro, in particolar modo se tali lavoratori ogni giorno reggono le sfide della società complessa in cui operano e pazientemente si arrabattano per far sì che la campanella non suoni a vuoto. Sarebbe poi un segnale di democrazia e civiltà matura il concepire un sistema universitario che riconsegnasse dignità alla creatività, all’indipendenza dei soggetti nello scegliere di sperimentare modalità e strumenti divergenti dai vincoli imposti dalle griglie e dalle esigenze, anche in questo caso burocratiche, del tenere sotto controllo ricerche e pubblicazioni, lasciando che il pensiero critico di ogni docente potesse scorrere e correre liberamente. Sarebbe utile che tra università e scuole venisse favorita un’alleanza di ricerca sia in campo disciplinare sia in campo pedagogico-didattico, affinché ci fosse una ricaduta in tempi brevi sulle azioni degli insegnanti nelle classi e nel Paese. Tra la scuola e l’università andrebbero aperti canali di comunicazione di facile percorribilità. Si leggono analisi politiche che ci fanno riflettere sulle cause per le quali scuola e università vengono tenute in uno stato di soggezione economica e culturale a colpi di tagli, indagini statistiche allarmanti e griglie. Francamente sono analisi a dir poco inquietanti, perché portano tutte alla conclusione che ogni essere umano impegnato nella formazione e nello sforzo di elevare le condizioni di vita e di libertà dei giovani, sarebbe volutamente e deterministicamente condizionato a permanere e a far permanere in uno stato di sudditanza al fine di venire usato per il mercato e per il consumo. Certo ci sono migliaia di esempi che possono avvalorare tali analisi, ma un insegnante non può e non deve adattarsi all’accettazione di un mondo che obbliga a sferzare i tempi degli apprendimenti, che taglia ogni aiuto alla disabilità, che vorrebbe far rientrare le persone nelle statistiche valutative, che non fa ricerca, che basa i rapporti sulla monetizzazione e la mercificazione. L’insegnante non può e non deve permetterselo perché il suo lavoro deve essere quello dell’invito a creare un nuovo progetto di vita nel mondo, alla creazione di un mondo che includa tutti e ogni pezzettino di quei tutti, a partire da un se stesso che dialoghi con i pezzettini degli altri per ricomporre un mosaico di senso e di bene comune. Ultimamente ho letto l’intervista a Gianni Bocchieri, ex direttore generale INVALSI e devo dire che le analisi di cui ho scritto sopra sembrano proprio realistiche: egli con candore disarmante alla domanda “Come valuta le critiche al lavoro svolto dall’Istituto?” risponde: “Coloro che contestano sia le prove standardizzate, sia le prove censuarie appartengono a quel pedagogismo italico, che ha storicamente creato i più gravi disastri alla scuola italiana e che rimetterebbe volentieri le mani sull’Invalsi per sottrarlo al campo delle discipline economiche ed econometriche di Cipollone e Sestito“. (in “Invalsi, istruzioni per il nuovo presidente”). Ancora una volta, le colpe dello sfascio del sistema al’ 68! Ancora una volta economisti con un amore sviscerato per l’econometria esprimono giudizi e usano l’ascia ideologica con il paraocchi sulla delicatezza del sistema scolastico reso fragilissimo proprio dagli stessi economisti dei vari governi che si sono succeduti negli anni! Effettivamente il nostro mondo non ha nulla a che fare con il loro, sebbene debba ogni giorno confrontarsi con la realtà costruita proprio da loro.